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03 Settembre 2025 - 10:25
Trump dice no al Ponte sullo Stretto di Messina: rischio tensioni tra Roma e Washington
Il sogno del Ponte sullo Stretto di Messina, trasformato negli ultimi mesi in bandiera politica e in cavallo di battaglia propagandistico, si scontra con la dura realtà dei rapporti internazionali. A stroncare le ambizioni italiane è stato direttamente il fronte americano, con l’amministrazione Trump che ha detto un secco no alla possibilità di inserire i miliardi destinati al ponte tra le spese “correlate” alla Difesa richieste dall’Alleanza Atlantica.
Il caso è esploso dopo che l’ambasciatore statunitense presso la Nato, Matthew Whitaker, ha espresso in modo netto la posizione di Washington. «È molto importante che l’obiettivo del 5% si riferisca specificamente alla difesa e alle spese correlate – ha dichiarato a Bloomberg – e che l’impegno sia assunto con fermezza». Un monito che sembra cucito addosso all’Italia, accusata di voler allargare la definizione di spese per la sicurezza fino a includere opere infrastrutturali di natura civile.
Il governo guidato da Giorgia Meloni aveva valutato la possibilità di inserire i costi del ponte, stimati in 13,5 miliardi di euro, nell’1,5% del Pil previsto per infrastrutture e ricerca tecnologica “collegate” alla Difesa. La logica, sostenuta soprattutto dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini, era quella di presentare l’opera come un investimento strategico per la logistica militare nel Mediterraneo centrale. In più occasioni Salvini aveva ribadito: «Le infrastrutture come il Ponte sullo Stretto sono strategiche anche per la sicurezza».
Il ragionamento dell’esecutivo italiano si fondava su un punto chiave: quei 13,5 miliardi rappresentano circa lo 0,5% del Pil annuo nazionale. Spalmati sui sei anni di costruzione, sarebbero equivalenti a poco meno dello 0,1% del Pil annuo, cioè circa un quindicesimo del totale previsto dalla Nato per le spese correlate. In altre parole, una quota che, secondo Roma, avrebbe potuto tranquillamente rientrare nel perimetro fissato dagli accordi.
Washington, però, ha stroncato questa interpretazione. Secondo l’amministrazione Trump, le infrastrutture civili – per quanto possano avere una valenza indiretta sulla sicurezza – non possono essere incluse nel calcolo delle spese Nato. Il messaggio è chiaro: gli Stati Uniti vogliono che i partner europei investano realmente in armi, esercito, tecnologie belliche e ricerca militare, senza scorciatoie contabili.
Il tema si inserisce nella cornice del nuovo accordo voluto da Trump, che ha alzato l’asticella della spesa per la Difesa dal tradizionale 2% al 5% del Pil. Una soglia che si compone di due voci: il 3,5% per armi ed esercito e l’1,5% per spese correlate, come infrastrutture, ricerca e tecnologia. Un impegno mastodontico per l’Italia, che attualmente si ferma poco sopra l’1,5%.
Roma, già alle prese con un debito pubblico record e con margini di manovra ridotti, cercava di sfruttare il ponte come volano contabile. Ma la scelta ha sollevato più di una critica, anche interna: per molti osservatori, il rischio era quello di piegare un progetto controverso a esigenze di bilancio internazionale, forzandone la natura civile.
Il veto americano al Ponte sullo Stretto non arriva in un vuoto politico, ma si intreccia con il ritorno di Trump sulla scena globale. Il presidente, al suo secondo mandato, ha rilanciato la sua linea dura sia verso l’Europa, accusata di non rispettare abbastanza gli impegni Nato, sia verso i partner commerciali. Proprio in queste ore, infatti, si consuma negli Stati Uniti un nuovo braccio di ferro sui dazi.
Un giudice federale ha bloccato le tariffe doganali introdotte da Trump, sostenendo che il presidente non possa imporre tasse senza passare dal Congresso. Si tratta di un colpo durissimo per la sua agenda economica, che faceva delle tariffe uno strumento di pressione geopolitica oltre che di protezione dell’industria americana. Trump ha fatto immediatamente ricorso alla Corte Suprema, avvertendo che un mancato ribaltamento della sentenza sarebbe un «disastro economico» per il Paese.
Il caso dei dazi, come quello della spesa Nato, mostra la volontà di Trump di riaffermare un controllo diretto su due fronti strategici: sicurezza e commercio. Con una Corte Suprema a maggioranza conservatrice – sei giudici su nove nominati da presidenti repubblicani – il presidente conta di avere dalla sua parte l’ultima parola.
Per il governo italiano, la bocciatura americana rappresenta una battuta d’arresto pesante. Non solo sul piano politico, perché mina la narrazione del ponte come progetto “strategico”, ma anche sul piano finanziario. Senza la possibilità di farlo rientrare nelle spese Nato, i 13,5 miliardi dovranno essere trovati altrove, in un bilancio già stretto da vincoli europei e da impegni interni.
La vicenda rischia di accentuare le tensioni tra Roma e Washington. L’Italia, che storicamente si muove in equilibrio tra esigenze di bilancio e fedeltà atlantica, si trova ora incastrata tra le richieste pressanti di Trump e la necessità di difendere un’opera simbolo per Salvini e per la Lega.
Al tempo stesso, il caso apre una riflessione più ampia: quali spese possano davvero essere considerate “per la sicurezza” in un mondo dove i confini tra civile e militare si fanno sempre più sottili. Se un ponte può avere una funzione logistica per le forze armate, può essere equiparato a un missile o a un sistema radar? Per la Nato, la risposta – almeno per ora – è no.
Il nodo del Ponte sullo Stretto diventa così il simbolo di uno scontro più ampio. Da una parte l’Italia, che cerca margini di flessibilità per non affondare nei conti della Difesa. Dall’altra Trump, che pretende impegni chiari, senza escamotage, e che non ha esitato a bloccare quello che Roma voleva spacciare come spesa strategica.
Il rischio, per il nostro Paese, è duplice: dover trovare nuove coperture per il ponte e allo stesso tempo aumentare le spese militari fino a livelli mai visti. Una sfida che rischia di trasformarsi in un boomerang politico ed economico, proprio mentre l’Europa è chiamata a ridefinire il proprio ruolo nello scacchiere internazionale.
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