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Ultime notizie. Trump è morto. Trump is dead.

Voci su X, frase di Vance, sito della Casa Bianca in tilt e 'pizza meter'

Ultime notizie. Trump is dead. Trump è morto

Donald Trump

Negli Stati Uniti, a volte, basta un livido sulla mano del Presidente per far tremare i social e innescare una crisi mondiale. È accaduto lo scorso weekend, quando l’hashtag “Trump is dead” ha cominciato a rimbalzare su X (ex Twitter) e nel giro di poche ore è diventato virale. Milioni di americani – e non solo – hanno iniziato a chiedersi se davvero il Presidente Donald Trump fosse morto. La risposta, banale ma necessaria, è no. Trump non è morto, ma ancora una volta la politica americana si è ritrovata ostaggio della sua caricatura digitale.

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Tutto è partito da un dettaglio insignificante, ma reso gigantesco dall’occhio clinico dei social: un livido evidente sulla mano del Presidente. La Casa Bianca ha spiegato che si tratta di una conseguenza della sua insufficienza venosa cronica, una condizione comune alla sua età, che può causare gonfiori e lividi visibili. Non è nulla di pericoloso, come hanno confermato anche i medici, ma è bastato per far immaginare la scena di un decesso improvviso. Un Presidente anziano, qualche giorno di assenza dai riflettori, un segno sospetto: la formula perfetta per i teorici del complotto e per i creatori di hashtag. CNN ha parlato apertamente di “bufala smentita”, mentre The Week (edizione americana) ha raccontato come la vicenda sia nata da una frase del vicepresidente J.D. Vance, che si è detto pronto a subentrare in caso di tragedia. Parole normali per un vice, diventate però benzina sul fuoco delle speculazioni.

Il meccanismo è stato rapidissimo. Prima le immagini del livido, poi l’assenza di apparizioni pubbliche, poi la dichiarazione di Vance. Infine, come se non bastasse, il richiamo ai Simpson, i veggenti animati che secondo i social avrebbero previsto persino la morte di Trump. La serie televisiva è diventata la Bibbia del complottista digitale e la “profezia” è stata rilanciata ovunque. Risultato: in poche ore la rete ha trasformato un Presidente con un livido in un cadavere politico.

La Casa Bianca ha provato a correre ai ripari con un comunicato che definiva l’accaduto “un piccolo infortunio” e ribadiva le “condizioni stabili” del Presidente. Ma la dichiarazione, riportata da Bloomberg e Reuters, suonava più come un tentativo di minimizzare che come una rassicurazione. In tanti hanno notato che le parole ufficiali sembravano costruite per coprire un’emergenza, non per smentire un pettegolezzo. In altre epoche sarebbe bastata una conferenza stampa, oggi invece la verità vale meno di un meme ben riuscito.

Così mentre Trump era vivo e vegeto, magari a guardare la televisione dalla sua residenza, milioni di americani si interrogavano online sulla sua presunta morte. I troll più spietati hanno trasformato la vicenda in un carnevale macabro. Alcuni hanno scritto finti necrologi, altri hanno ironizzato su funerali da record, altri ancora hanno rispolverato il paragone con Elvis Presley, vivo per sempre nei cuori dei fan e nelle fantasie dei complottisti. Persino Snopes, il sito di fact-checking, è stato costretto a intervenire con un articolo in cui classificava la voce come “falsa” e spiegava come la bufala si fosse diffusa.

In questa storia, il dettaglio più interessante non è tanto la resistenza fisica del Presidente – che a 79 anni e con qualche problema circolatorio non sembra particolarmente drammatica – quanto la fragilità della verità. È significativo che la domanda più frequente del weekend non fosse “come sta Trump?”, ma “Trump è morto?”. E che persino giornali rispettabili come il Washington Post e il New York Times si siano sentiti obbligati a pubblicare pezzi in cui spiegavano, con tono serissimo, che il Presidente era vivo. Una scena da teatro dell’assurdo, in cui la politica americana appare come un gigantesco reality show, dove il confine tra realtà e fiction è ormai del tutto evaporato.

L’America si è abituata a tutto: a un Presidente che ha sfidato la logica della politica, a impeachment, scandali, inchieste, persino a un assalto al Campidoglio. Ma l’idea che possa morire per un livido sulla mano resta la metafora più grottesca della sua era. Perché negli Stati Uniti contemporanei non conta tanto la salute di un capo di Stato quanto l’immaginario che si costruisce attorno a lui. E in quell’immaginario, un hashtag può valere più di un referto medico.

La verità è che Donald Trump non è morto, ma l’episodio racconta meglio di tanti saggi come oggi si muova la politica mondiale. Il leader sopravvive, ma è l’informazione a essere in crisi: traballante, malata, livida come la mano del Presidente. Gli americani hanno passato un fine settimana a chiedersi se fosse vivo, e nel frattempo l’unico a sembrare davvero in fin di vita è il concetto stesso di realtà.

Al lupo al lupo

Trump è morto”. Così dicono i social. Lo hanno detto in coro, in maiuscolo, in minuscolo, con emoji di bare e bandiere, e la notizia ha fatto il giro del mondo più veloce di un cheeseburger infilato al McDrive. In pochi minuti milioni di persone hanno già pianto, celebrato, bestemmiato, litigato sull’eredità politica e privata, poi qualcuno si è accorto che il Presidente era ancora lì, vivo, vegeto, probabilmente intento a insultare un conduttore televisivo. Ma a quel punto era troppo tardi: l’America aveva già deciso che fosse morto, e in fondo, quando decide l’America, è come se fosse vero.

C’è un che di irresistibile nell’idea che una nazione con trecentotrenta milioni di abitanti e un arsenale capace di sterminare il pianeta possa dichiarare clinicamente morto il suo comandante in capo per un livido sulla mano. La Casa Bianca si è affrettata a spiegare che trattasi di “insufficienza venosa cronica”. Traduzione: i capillari che ogni tanto fanno gli schizzinosi. Ma internet, che non ha pazienza per la scienza, ha già firmato il certificato: necrosi politica terminale.

Il vicepresidente J.D. Vance, che non pare l’uomo più prudente della galassia, ci ha messo del suo. Ha detto di essere pronto a subentrare “in caso di tragedia”, e milioni di americani hanno sentito odore di apocalisse, come se stesse recitando una riga di copione già imparata a memoria. Poi sono arrivati i Simpson, che in America valgono più del bollettino medico dell’esercito: avevano previsto tutto, anche questo. E allora amen: se lo dice Springfield, dev’essere vero.

Il lato davvero comico è che, se per disgrazia domani morisse davvero, ci sarebbe una metà del Paese convinta che sia un complotto. Trump diventerebbe Elvis, avvistato in incognito a Las Vegas, dietro la panchina di una partita di football, in coda al Burger King. Perché lui non può morire: è troppo occupato a twittare.

E tuttavia, in un certo senso, i social non hanno poi sbagliato. Trump è morto, non nel senso biologico, certo, ma nel senso politico. È morto e risorto mille volte, come un personaggio di reality che non lascia mai il video: esce dalla porta, rientra dalla finestra, sparisce dall’inquadratura, e di colpo lo ritrovi sul divano. L’America ride, piange, si indigna, si commuove per la sua morte immaginaria, ma alla fine, a sembrare davvero in rianimazione, non è lui: è la verità.

E allora sì, “Trump is dead”. Ma tranquilli, domani ci spiegherà che è stata la più grande, bellissima e perfetta morte della storia.

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