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Crisi del vino piemontese: cantine storiche chiudono e consumi in calo. "Siamo al punto di non ritorno"

I produttori denunciano l’emergenza: Docg invendute, redditi in picchiata e un’intera cultura agricola a rischio. Nel mirino anche le denominazioni del Canavese

Crisi del vino piemontese

Crisi del vino piemontese: cantine storiche chiudono e consumi in calo

È una crisi silenziosa ma profonda, quella che sta investendo in pieno il settore vitivinicolo piemontese. Non ci sono grandinate da mostrare, né vigneti bruciati dal sole. Eppure, le cantine chiudono, i conti non tornano, i magazzini traboccano di bottiglie che nessuno compra. In provincia di Alessandria, cuore di molte Docg storiche come l’Asti, i produttori lanciano l’allarme: “Siamo al punto di non ritorno”.

A denunciare il collasso del comparto è l’Aai, Agricoltori autonomi italiani, che ha chiesto alla Regione l’apertura urgente di un tavolo permanente sull’emergenza vino, coinvolgendo tutte le associazioni di categoria. In cima alle richieste: sospensione dei pagamenti alla pubblica amministrazione, distillazione per ridurre gli stoccaggi, ristori economici immediati.

Il presidente dell’Aai Piemonte, Gabriele Ponzano, non usa giri di parole: “Oggi il viticoltore è alla massima fragilità economica e sociale. Le aziende chiudono, anche quelle storiche. Chi resiste, lo fa tagliando tutto il possibile, cercando lavoretti extra per integrare un reddito che non basta più. E se da un lato ci sono giovani coraggiosi che provano a partire, dall’altro molte famiglie gettano la spugna dopo generazioni nei campi”.

A soffrire è l’intero sistema delle Docg, da quelle più note come l’Asti a quelle di nicchia. Ma la crisi non risparmia nemmeno i piccoli territori, come il Canavese, dove si producono vini a denominazione come l’Erbaluce di Caluso o il Carema. In zone dove la viticoltura è spesso artigianale, eroica, a conduzione familiare, bastano due campagne difficili per mandare in crisi bilanci già precari.

Anche qui, tra le colline tra Caluso, Agliè e Bairo, molti produttori non riescono più a vendere. I costi aumentano, i consumi calano, le etichette meno conosciute faticano a farsi spazio sul mercato, soffocate da una concorrenza aggressiva e da una burocrazia asfissiante. “Serve una promozione seria anche per le piccole denominazioni – sottolinea Ponzano – non solo per le grandi realtà industriali. E bisogna semplificare l’accesso alla manodopera occasionale, perché molti non riescono più nemmeno a trovare chi vendemmia”.

A peggiorare il quadro, il fatto che industria e consorzi registrano livelli record di invenduto: bottiglie piene che restano nei depositi, mentre i contadini svuotano i conti in banca per tenere aperto. L’Asti Docg, simbolo del Piemonte spumantiero, è tra le più colpite. Ma il crollo è generalizzato. Il vino non si vende più come prima, il consumo interno è in calo, e l’export non riesce a compensare. Intanto le scadenze fiscali avanzano, i costi per fitofarmaci, vetro e trasporti lievitano, e le promesse di sostegno restano lettera morta.

Per questo gli Agricoltori autonomi chiedono una risposta immediata, fatta di interventi concreti, non di dichiarazioni: sospensione dei contributi previdenziali, distillazione d’emergenza, promozione reale, ristori. E soprattutto una revisione strutturale delle regole sugli impianti, che oggi penalizzano le piccole realtà.

Il vino, in Piemonte, non è solo un prodotto commerciale. È cultura, identità, presidio del territorio. I viticoltori sono i custodi di paesaggi storici, spesso a rischio di abbandono. Perderli significa non solo perdere reddito, ma lasciare che intere colline smettano di vivere.

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