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01 Settembre 2025 - 22:39
Questa mattina ha avuto il passo misurato delle delegazioni nei corridoi del Meijiang Convention & Exhibition Center. Guardie, staff, badge che tintinnavano, il brusio di venti lingue diverse. Poi l’applauso, le telecamere si sono accese, e l’immagine che in un batter di ciglio ha fatto il giro del mondo: Xi Jinping, Vladimir Putin e Narendra Modi a pochi passi l’uno dall’altro, stretti in una regia di sorrisi, pacche sulle spalle, persino un passaggio in limousine condiviso. È stata l’istantanea che ha sintetizzato la giornata del primo settembre: Tianjin come teatro di un’alleanza di fatto, che non ha bisogno di clausole militari per mandare un messaggio politico.
Il padrone di casa, Xi Jinping, ha tagliato subito il perimetro del discorso, tenendo insieme diritto internazionale e sfida geopolitica. “Dobbiamo agire per difendere l’equità e la giustizia internazionali… dobbiamo continuare a opporci senza ambiguità all’egemonismo e alla politica di potenza, praticare il vero multilateralismo e fungere da pilastro per promuovere un mondo multipolare e una maggiore democrazia nelle relazioni internazionali”, ha scandito. È il vocabolario di una leadership che, a Tianjin, ha proposto la propria “alternativa”: multipolarismo, inclusione, niente blocchi.
La narrativa ha preso forma in un documento politico: la Dichiarazione di Tianjin. È stato il sigillo finale della giornata e della presidenza cinese con cui i Capi di Stato hanno firmato il testo comune. A margine, Pechino ha fatto filtrare la volontà di avviare il processo per una Banca di Sviluppo della SCO, infrastruttura finanziaria pensata per dare muscoli a progetti regionali e interregionali, come evidenziato da Economic Times.
Xi ha rilanciato anche sul terreno concreto: aiuti e credito al blocco. Le cronache internazionali hanno riportato sovvenzioni e prestiti dedicati ai Paesi SCO e l’impegno ad allineare la Belt and Road (la “Nuova Via della Seta” cinese) alle strategie di sviluppo dei partner: la piattaforma non più solo “spazio di sicurezza”, ma motore economico e tecnologico, scrivono Reuters e The Times.
Intorno, le bilaterali hanno mosso placidamente le placche tettoniche. Putin e Modi si sono ritagliati una scena tutta loro: l’Aurus Senat, la limousine di rappresentanza russa, si è trasformata per un breve tragitto di alcuni chilometri in anticamera diplomatica. Al tavolo, i due leader hanno ricalibrato un rapporto che attraversa crisi e dazi americani. “Anche nelle situazioni più difficili, India e Russia hanno sempre camminato fianco a fianco”, ha detto Modi. Poi, lo sguardo si è ampliato: “È necessario trovare un modo per porre fine al conflitto il prima possibile e stabilire una pace duratura”. Frasi pesanti, pronunciate oggi a Tianjin, con l’eco dell’incontro con Zelenskij alle spalle e quello con Putin davanti.
Putin ha usato la tribuna SCO per incastonare la linea argomentativa del Cremlino entro i confini del diritto internazionale. Ha richiamato la Carta dell’Onu: “Questi principi sono veri e incrollabili ancora oggi. Le attività della SCO si basano su di essi”. E, parlando d’Ucraina, ha rimesso la responsabilità sull’Occidente: la crisi “è il risultato di un colpo di Stato sostenuto dall’Occidente” e del “tentativo costante di trascinare l’Ucraina nella NATO”. Nel frattempo, ha annunciato “intese” raggiunte con Trump ad Anchorage che “possono aprire la strada alla pace”. Sono passaggi che segnano la linea russa, ma anche il messaggio politico del summit: c’è spazio per un negoziato “altro”, non a trazione occidentale, sottolineano Reuters e The Guardian.
Il Mediterraneo orientale e il Medio Oriente sono entrati a Tianjin attraverso la voce di Recep Tayyip Erdoğan. Il presidente turco - ospite di un formato SCO Plus sempre più affollato – ha messo Gaza al centro del suo intervento: “Non ci sono spiegazioni per non essere riusciti a fermare le atrocità che durano da 23 mesi a Gaza, dove neonati, bambini e anziani muoiono di fame”. Poi l’appello: “È responsabilità di tutti noi trasformare l’Onu in una piattaforma che rappresenti la giustizia globale”. Sono parole dure, che la stampa di Ankara ribattezza come il “passaggio morale” del summit.
Nella stessa cornice, Erdoğan ha ricevuto l’iraniano Masoud Pezeshkian e ha aperto uno spiraglio sul dossier atomico: “Proseguire i negoziati sul nucleare è utile”, la formula diplomatica scelta dal leader turco, che aggiunge il sostegno di Ankara a Teheran.
La Dichiarazione di Tianjin si muove fra norme e crisi: riafferma il rifiuto dei “doppi standard”, chiama alla non ingerenza, evoca la necessità di un cessate il fuoco duraturo in Medio Oriente e inserisce in agenda Afghanistan e lotta al terrorismo, con un passaggio che richiama gli attentati di Pahalgam. In controluce, il messaggio è netto: la SCO vuole apparire piattaforma di stabilità in un mondo turbolento.
Sullo sfondo, il lessico che ricorre in ogni dichiarazione: multipolarismo, vera cooperazione, governance globale. Putin lo dice esplicitamente, allineandosi a Xi: sostegno a “un nuovo e più efficace sistema di governance globale”. È l’idea–manifesto che ha attraversato i corridoi di Tianjin: costruire istituzioni parallele e catene di valore resistenti a tariffe, sanzioni e shock esterni (crisi energetiche, pandemie, guerre, cyberattacchi o blocchi logistici).
E Modi? Tra strette di mano e foto “calde”, il premier indiano si muove sull’equilibrio che da due anni definisce la postura di Nuova Delhi: autonomia strategica, acquisti energetici da Mosca, riapertura del dialogo con Pechino dopo lo scontro di confine del 2020. In plenaria insiste: niente “doppi standard” sul terrorismo; nella bilaterale ribadisce che la cooperazione India-Russia è “importante… per la pace, la stabilità e la prosperità globali”.
Alle 17 circa (ora di Tianjin) il summit si è chiuso con il rituale delle firme e delle foto. Fuori, i commentatori hanno contato i numeri: l’edizione più grande di sempre, presenza di 20 capi di Stato e di governo e 10 organizzazioni internazionali invitate nel formato allargato. Dentro, la traiettoria: banca di sviluppo, impegni su AI, energia, infrastrutture, un lessico comune che parla di “rispetto”, “uguaglianza”, “non ingerenza”.
Tianjin è stata, in una parola, scenografia e sostanza. La scenografia di un abbraccio tripolare che manda segnali oltre l’Asia. La sostanza di un’architettura che ambisce a diventare - parole di Xi – “pilastro” della governance che verrà. E mentre le delegazioni defluiscono, resta la sensazione che la SCO abbia smesso di parlare solo al suo vicinato: la conversazione, da oggi, è globale.
BOX — Storia e significato della SCO
Nata come “Shanghai Five” nel 1996, quando Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan scelsero di disinnescare le tensioni sui nuovi confini post-URSS, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai prende forma nel 2001 con l’ingresso dell’Uzbekistan e un nome definitivo: SCO. Due anni dopo arriva la Carta che ne fissa principi e obiettivi; l’anno seguente si aprono il Segretariato a Pechino e la struttura antiterrorismo RATS a Tashkent, il cuore dello scambio informativo contro terrorismo, separatismo ed estremismo. Non è un’alleanza militare né un’unione sovranazionale: decide per consenso, resta intergovernativa e lavora su sicurezza, economia, energia, infrastrutture e scambi culturali.
La crescita cambia i numeri e il baricentro. Nel 2017 entrano India e Pakistan, aggiungendo massa critica e contraddizioni; tra il 2023 e il 2024 diventano membri a pieno titolo Iran e Bielorussia. Oggi la SCO riunisce dieci Paesi e rappresenta intorno al 40% della popolazione mondiale, con una quota rilevante dell’economia globale. Il lessico è quello del cosiddetto “Shanghai Spirit”: fiducia e vantaggio reciproci, eguaglianza, rispetto delle differenze, sviluppo comune; l’orizzonte, sempre più spesso, è quello di un multipolarismo rivendicato come alternativa all’architettura a guida occidentale. In questa cornice, la Belt and Road, la “Nuova Via della Seta” cinese fatta di corridoi logistici e digitali, diventa il tessuto connettivo cui allineare progetti e investimenti dei membri.
Il venticinquesimo vertice di Tianjin si inserisce in questa traiettoria: una piattaforma nata per la sicurezza regionale che ambisce ormai a pesare su finanza, tecnologia e connettività, proponendo al mondo il proprio vocabolario - sovranità, non ingerenza, uguaglianza - e un metodo pragmatico di cooperazione.
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