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Assegno unico sotto accusa: crescono le richieste ma crollano le nascite

In tre anni +20% di famiglie beneficiarie nel Torinese, ma meno 5,5% di bambini: il bonus non ferma l’inverno demografico

Assegno unico sotto accusa

Assegno unico sotto accusa: crescono le richieste ma crollano le nascite

Il paradosso dell’assegno unico universale è nei numeri: più famiglie che lo richiedono, meno figli che nascono. Il provvedimento, pensato per incentivare la natalità e sostenere i nuclei con minori, rischia di rivelarsi un’arma spuntata. In Piemonte, e in particolare nel Torinese, le richieste sono cresciute del 20% in tre anni, ma nello stesso arco di tempo i bambini sono diminuiti del 5,5%.

Secondo i dati raccolti dall’economista Mauro Zangola, nei primi sei mesi del 2025 quasi 410 mila famiglie piemontesi hanno presentato domanda per l’assegno, riferito a 646 mila figli. Di questi, 620.532 sono stati ammessi al beneficio, con un importo medio di 162 euro al mese. Oltre la metà delle richieste arriva dal Torinese: circa 340 mila famiglie, l’85% delle quali con figli minorenni e il 4,1% con disabilità.

Un aumento significativo, che ha portato il tasso di adesione dall’iniziale 70% del 2022 all’attuale 89,6%. Eppure, la natalità non reagisce. Dal 2022 al 2024 il Piemonte ha perso circa 1.400 nuovi nati, di cui 744 solo a Torino. Nei primi cinque mesi di quest’anno sono venuti al mondo 9.358 bambini, contro i 10.157 dello stesso periodo dell’anno scorso: un calo che, salvo sorprese autunnali, si confermerà a fine anno.

L’assegno unico, entrato in vigore nel 2022 come misura cardine del governo Draghi, si proponeva tre obiettivi: favorire la natalità, sostenere la genitorialità, promuovere l’occupazione femminile. La realtà, però, sembra andare in direzione opposta. I beneficiari aumentano perché le famiglie con figli esistenti hanno bisogno di un aiuto sempre maggiore per far fronte al costo della vita. Ma le nuove nascite non decollano, perché i giovani rinviano o rinunciano al progetto familiare, scoraggiati da redditi bassi, precarietà lavorativa e mancanza di servizi.

Le testimonianze raccolte in questi mesi raccontano un disagio diffuso. Madri single e coppie precarie spiegano che l’assegno, pur utile, non compensa affitti elevati, spese sanitarie e rette scolastiche. Una madre con due figli e un Isee di 18 mila euro riceve 394 euro al mese: una somma che contribuisce, ma non elimina la difficoltà quotidiana. All’opposto, famiglie con redditi alti percepiscono 58 euro al mese per figlio: cifre marginali, che secondo Zangola finiscono per disperdere risorse. «Chi guadagna tanto cosa se ne fa di 58 euro? – sottolinea l’economista – Sarebbe più equo concentrare i fondi sui redditi medio-bassi».

La distribuzione, infatti, appare squilibrata. Il 41% dei beneficiari torinesi ha un Isee inferiore ai 15 mila euro, mentre il 28% supera i 40 mila o non lo presenta affatto, ricevendo così l’importo minimo. Tradotto: circa 95 mila bambini torinesi di famiglie benestanti percepiscono un totale annuo di 66 milioni di euro che, se ridistribuiti, avrebbero potuto rafforzare il sostegno ai nuclei più fragili.

Il paradosso dell’assegno unico apre anche un fronte politico. La destra lo critica come misura inefficace e troppo costosa, mentre il centrosinistra lo difende, sostenendo che i suoi effetti sulla natalità vadano valutati nel lungo periodo. Intanto, nel Paese che registra uno dei tassi di natalità più bassi d’Europa – appena 1,2 figli per donna – l’emorragia demografica non si ferma.

In Piemonte, la questione si intreccia con un’altra emergenza: la fuga dei giovani. Come ricorda l’ex ministra Elsa Fornero, negli ultimi anni sono aumentati i ragazzi piemontesi che scelgono di studiare o lavorare all’estero, impoverendo ulteriormente la base demografica. Senza politiche di attrazione e stabilizzazione, i giovani che restano non trovano motivazioni sufficienti per formare una famiglia.

Un altro nodo irrisolto è quello dei servizi. Nidi comunali insufficienti, rette elevate nelle strutture private, mancanza di orari flessibili che si adattino al lavoro delle madri: sono barriere che l’assegno unico, da solo, non può abbattere. In Paesi come la Francia, dove la natalità resiste, il sostegno economico è affiancato da un sistema capillare di welfare familiare. In Italia, invece, le misure sono spesso frammentate: una “giungla di bonus”, come la definisce Zangola, che rischia di confondere più che incentivare.

Il tema dell’assegno unico, quindi, non può essere isolato dal contesto sociale. Aumentano le richieste perché aumentano le difficoltà economiche, ma questo non significa che le coppie scelgano di avere figli. Al contrario, la tendenza è quella di fermarsi a uno o due, o di rinunciare del tutto. Un fenomeno che ha conseguenze profonde: meno bambini significa meno scuole, meno lavoratori domani, un sistema pensionistico più fragile e un tessuto sociale impoverito.

Gli esperti chiedono quindi una revisione complessiva della misura. Tra le proposte: concentrare i fondi sulle fasce più fragili, potenziare i servizi per l’infanzia, incentivare davvero l’occupazione femminile con contratti stabili e tutele, e ridurre le disparità territoriali che penalizzano il Sud. Solo così, sostengono, l’assegno unico potrebbe trasformarsi da semplice sussidio a strumento strutturale di politica familiare.

Per ora resta un dato incontrovertibile: nel Torinese ci sono più famiglie che chiedono il contributo, ma meno bambini che giocano nei cortili. Un paradosso che fotografa la crisi demografica italiana meglio di qualunque statistica.

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