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La scoperta dell’acqua calda: gli affitti divorano il 44% dello stipendio degli operai

L’analisi Cna conferma ciò che i lavoratori sanno da anni: metà paga finisce in casa, la politica fotografa il problema ma non lo risolve

La scoperta dell’acqua calda

La scoperta dell’acqua calda: gli affitti divorano il 44% dello stipendio degli operai

Che il costo degli affitti sia diventato insostenibile per chi lavora non è certo una scoperta dell’ultima ora. Eppure la Cna (Confederazione nazionale dell’artigianato) pubblica l’ennesimo studio che ribadisce ciò che ogni operaio sa già sulla propria pelle: quasi il 44% dello stipendio netto se ne va per pagare l’alloggio, con punte che a Milano sfiorano il 65%. A Firenze, Roma e Bologna si supera agevolmente il 50%, mentre Torino e Napoli si fermano sotto la media nazionale. Ma davvero serviva un nuovo dossier per accorgersene?

I dati messi nero su bianco non raccontano nulla di inedito. Negli ultimi anni gli affitti sono cresciuti in media del 19,5%, a fronte di stipendi che nello stesso periodo si sono fermati a un +14%. Risultato: i lavoratori devono fare i conti con un mercato immobiliare che divora la metà delle loro risorse, lasciando poco o nulla per il resto della vita quotidiana. E a pagare il conto più salato sono proprio i giovani e gli operai, ossia le fasce che più avrebbero bisogno di mobilità e autonomia.

Secondo Cna, il caro-casa blocca la mobilità interna e contribuisce alla carenza di manodopera denunciata da tante imprese. Se un operaio deve scegliere se trasferirsi in un’altra città per un lavoro o restare dov’è, spesso la decisione è obbligata: perché accettare un impiego lontano se metà stipendio finisce in tasca al proprietario di casa? È un meccanismo perverso che spiega, almeno in parte, perché la quota di assunzioni di difficile reperimento sia passata in pochi anni dal 21,5% del 2017 a oltre il 50% del 2024.

Eppure, mentre le analisi si moltiplicano, le soluzioni concrete restano al palo. Cna sottolinea che servirebbe una “politica per la casa”, e il governo annuncia un Piano Casa. Ma quante volte lo abbiamo già sentito? Intanto i dati ci dicono che in 36 province italiane il costo dell’affitto supera il 30% del reddito netto di un operaio. In poche, come Taranto o Potenza, la situazione è relativamente più leggera: nel capoluogo lucano l’incidenza si ferma al 17%. Ma altrove si viaggia su cifre che non lasciano scampo.

Il quadro è paradossale: un Paese che da anni lamenta la mancanza di personale qualificato, ma che non garantisce condizioni di vita dignitose a chi lavora. Non è un caso che a Bolzano i lavoratori disponibili siano appena il 7,4% delle assunzioni programmate e a Milano solo il 18,8%. In pratica, il mercato del lavoro è saturo, ma i salari non sono competitivi rispetto al costo di vivere nelle città dove il lavoro ci sarebbe.

Quello che manca non è l’ennesimo report, ma misure vere. Calmierare gli affitti, investire sull’edilizia popolare, incentivare i contratti a lungo termine, rendere trasparente e accessibile il mercato immobiliare: questi sono i nodi che la politica dovrebbe sciogliere. Invece ci si limita a constatare, a pubblicare cifre, a invocare genericamente un Piano Casa senza che nulla cambi davvero.

L’impressione è che la Cna abbia fatto la scoperta dell’acqua calda. Chi vive in affitto non aveva certo bisogno di leggere un dossier per sapere che paga troppo. La vera domanda, oggi, è un’altra: quanto ancora dovremo aspettare prima che dalle analisi si passi alle azioni?

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