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Scarmagno, il vigneto comunale è un fallimento. Dopo la Gigafactory e Panattoni, un altro sogno svanito

Settemila barbatelle da estirpare, terreni malati e un bando andato deserto: il Parco agricolo Il Fontanile, nato nel 2018 come simbolo di rinascita, rischia di diventare l’ennesima incompiuta del territorio

Scarmagno, il vigneto comunale è un fallimento. Dopo la Gigafactory e Panattoni, un altro sogno svanito

Dopo il naufragio della Gigafactory Stellantis, che avrebbe dovuto trasformare Scarmagno nella capitale europea delle batterie elettriche, e dopo lo stop al polo logistico Panattoni, rimasto bloccato ancora prima di partire, il Comune non vuole assistere all’ennesimo tramonto di un progetto che sulla carta doveva ridare slancio al territorio. Questa volta non si parla di grandi capannoni o di piani industriali miliardari, ma di un terreno che sette anni fa era stato presentato come esempio di innovazione agricola e didattica: l’ex vigneto comunale del Parco agricolo Il Fontanile.

Un’area di quasi cinque ettari, a ridosso dell’autostrada Torino-Aosta e proprio di fronte a quel che resta dell’universo Olivetti. Un luogo che nel 2018 era stato caricato di aspettative: da una parte la produzione di vino, con la promessa di 50 mila bottiglie di Erbaluce Doc all’anno, dall’altra la dimensione educativa, con l’idea di aprire il parco a scuole e cittadini per far conoscere la viticoltura e l’agricoltura del Canavese. Sembrava il matrimonio perfetto tra pubblico e privato, tra un’amministrazione locale che voleva valorizzare i suoi terreni e un’impresa incaricata di realizzare l’impianto.

fontanile

La realtà è stata molto diversa. Dopo anni di contenziosi tra il Comune e l’impresa Biamara di Massimiliano Bianco di Caluso, e con l’arrivo della flavescenza dorata – la malattia che ha devastato i filari – il vigneto è stato abbandonato, lasciando dietro di sé solo file di barbatelle malate e una sensazione di occasione mancata. I settemila ceppi, distribuiti su settanta filari, non hanno mai prodotto neanche un grappolo degno delle ambizioni iniziali. E così, quella che avrebbe dovuto essere la “fabbrica agricola” del paese si è trasformata in un campo incolto che oggi necessita più di un intervento di bonifica che non di raccolta vendemmiale.

Il primo tentativo di rilanciare il terreno è già fallito: l’asta pubblica scaduta il 12 giugno non ha ricevuto alcuna offerta. Nessun agricoltore, nessuna cooperativa, nessun investitore disposto a prendersi carico di un appezzamento che, oltre a promettere un affitto ventennale a cifre modeste (2.850 euro l’anno, per un totale di 57 mila euro in vent’anni), comporta però costi e impegni enormi: estirpare le barbatelle malate entro il 15 ottobre, disinfestare e ripulire tutto il terreno, e poi reimpiantare da zero seguendo i disciplinari dell’Erbaluce Doc.

Per il Comune, consapevole che non si può lasciare marcire un’area così visibile e potenzialmente strategica, si è reso necessario un secondo bando. Pubblicato nelle scorse settimane e con scadenza il 12 settembre alle 10, ripropone le stesse condizioni, con qualche incentivo in più: il canone del primo anno non sarà versato, perché resterà all’affittuario come compenso del lavoro di bonifica. Ma la sostanza non cambia: si tratta di un’operazione rischiosa e dispendiosa, che richiede più coraggio che convenienza.

L’area, infatti, non è un campo qualsiasi. È inserita nella zona di produzione dell’Erbaluce Doc, un patrimonio del Canavese che in teoria dovrebbe rappresentare un punto di forza. Ma il marchio da solo non basta. Servono investimenti, professionalità e una visione chiara di medio-lungo periodo. E questo, finora, è mancato.

Il parco, nei progetti originali, non doveva limitarsi alla vite. Accanto al vigneto erano previste anche coltivazioni di piante officinali, a partire da 3.500 esemplari di lavanda destinati all’uso cosmetico ed erboristico. Anche quella parte, come molte altre promesse, si è fermata ai disegni preliminari. Le piante non sono mai entrate in produzione, e il Fontanile non è mai diventato quel centro di sperimentazione e didattica che era stato immaginato.

Oggi il rischio è che il bando resti ancora una volta senza risposte. Perché se da un lato l’operazione può sembrare interessante per un piccolo produttore o una realtà cooperativa che voglia puntare sull’Erbaluce, dall’altro il peso dei costi iniziali – bonifica, reimpianto, cure agronomiche – potrebbe scoraggiare chiunque. Non è un caso che al primo giro nessuno abbia partecipato. E la domanda che circola tra i cittadini è semplice: se il progetto era così valido, perché non ha trovato sostenitori neppure quando era in condizioni migliori?

Il futuro del vigneto comunale, dunque, si intreccia con il destino di un paese che negli ultimi anni ha visto troppe promesse sfumare. La Gigafactory Stellantis, con i suoi roboanti annunci, avrebbe dovuto portare sviluppo, investimenti e occupazione: oggi resta solo una cattedrale di incertezze. Il polo Panattoni, che avrebbe dovuto trasformare l’area in un hub logistico, si è arenato prima ancora di partire. E ora anche un progetto apparentemente più semplice, quello di un vigneto, rischia di entrare nell’elenco delle incompiute.

Per Scarmagno non è solo questione di ettari e filari: è la credibilità di un territorio che negli ultimi decenni ha visto dissolversi il mito di Olivetti senza riuscire a sostituirlo con nulla di stabile. Il Fontanile avrebbe potuto essere un piccolo segnale di rinascita, un simbolo di come l’agricoltura possa diventare anche leva culturale ed educativa. Per ora è rimasto un simbolo al contrario: quello delle promesse non mantenute.

Il bando del 12 settembre sarà dunque più di un semplice atto amministrativo: sarà la cartina di tornasole per capire se a Scarmagno esistono ancora operatori disposti a investire e scommettere sul territorio, oppure se anche questo progetto finirà nel lungo elenco delle illusioni.

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