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Asti: cinghiali, nutrie e corvidi in esubero? Possono essere abbattuti: si apre lo scontro pubblico

La Provincia autorizza dal 22 agosto un piano di contenimento della fauna selvatica che divide politica e cittadini

Asti: cinghiali, nutrie e corvidi

Asti: cinghiali, nutrie e corvidi in esubero? Possono essere abbattuti e si apre lo scontro pubblico

Ad Asti la presenza crescente della fauna selvatica non è più soltanto un tema di gestione agricola o di equilibrio naturale, ma una questione che accende il dibattito politico e sociale. Dal 22 agosto 2025 la Provincia ha autorizzato un piano straordinario di abbattimenti selettivi e catture, con l’obiettivo dichiarato di limitare il sovrannumero di alcune specie considerate problematiche: cinghiali, caprioli, nutrie, corvidi, minilepri e piccioni. Una decisione che, già nelle prime ore, ha generato approvazioni, critiche e richieste di chiarimenti.

Il provvedimento arriva dopo mesi di segnalazioni crescenti: campi devastati dai cinghiali, canali erosi dalle tane delle nutrie, tetti danneggiati dai corvidi, colture compromesse e problemi di igiene urbana legati ai piccioni. Una pressione continua che, secondo gli uffici provinciali, ha raggiunto livelli di “dinamica fuori controllo”. La misura prevede che gli interventi siano eseguiti solo da personale formato e autorizzato, in condizioni definite “regolamentate” e con procedure codificate.

A sostegno della decisione si è schierata l’Associazione nazionale per la tutela dell’ambiente e della vita rurale, che parla di una scelta necessaria e “responsabile”. Secondo l’associazione, l’abbattimento selettivo risponde a rischi ambientali e sanitari e non può essere liquidato come un via libera indiscriminato alla caccia. «Le paure che circolano sono false e fuorvianti – sostengono –: la misura punta a restituire equilibrio a un territorio ormai compromesso dalla presenza eccessiva di alcune specie».

Il fronte opposto, però, non è meno compatto. Esponenti politici e gruppi animalisti hanno subito bollato il provvedimento come un “via libera alle doppiette”, sostenendo che, dietro la retorica della sicurezza e dell’agricoltura, si nasconda un’espansione della pressione venatoria. Le critiche sottolineano la carenza di soluzioni alternative, come le barriere di protezione, i metodi di dissuasione non cruenti o i piani di sterilizzazione. A preoccupare di più è la mancanza di trasparenza: chi controllerà la reale applicazione delle regole? Come verranno selezionate le aree e i periodi di intervento? In che modo si potrà valutare l’efficacia delle azioni nel medio-lungo periodo?

Il mondo scientifico, come spesso accade, mostra posizioni articolate. Alcuni ricercatori sollecitano un approccio preventivo e incruento, che privilegi soluzioni ecologiche e infrastrutturali alla rimozione forzata degli animali. Altri, invece, difendono la scelta della Provincia. Tra questi il dottor Gian Carlo Bosio, che definisce l’abbattimento controllato uno “strumento legale, efficace e necessario” nei casi di emergenza ambientale. Secondo Bosio, la vera questione non è se ricorrere agli abbattimenti, ma come calibrare gli interventi “sulla base dei dati e limitandoli al minimo indispensabile”.

Il dibattito, insomma, ruota attorno a un nodo cruciale: come conciliare sicurezza, agricoltura, salute pubblica e tutela etica degli animali? L’interrogativo non è astratto, perché la misura adottata dalla Provincia tocca diversi piani. Da un lato i coltivatori, che da anni denunciano raccolti distrutti e investimenti compromessi. Dall’altro, la crescente sensibilità pubblica per la protezione degli animali, che mal tollera soluzioni drastiche senza percorsi di condivisione. Nel mezzo, amministratori locali chiamati a rispondere di fronte a emergenze concrete e a pressioni contrapposte.

Le domande aperte restano numerose. Quali indicatori scientifici hanno attestato il sovrannumero delle specie coinvolte? Quali metodologie di conteggio e monitoraggio sono state utilizzate? Chi controllerà sul campo che gli interventi avvengano nei limiti previsti, evitando abusi? Sono previsti sistemi di valutazione ex post sugli effetti reali, sia in termini di riduzione dei danni agricoli, sia sul piano sanitario e della sicurezza? Infine: quale ruolo avranno le soluzioni non cruente proposte dal mondo veterinario e accademico?

Il confronto acceso che si è aperto ad Asti non è isolato. In tutta Italia, e in particolare nel Nord, la gestione della fauna selvatica rappresenta una questione ricorrente. I cinghiali, per esempio, hanno visto negli ultimi anni un’espansione impressionante, con segnalazioni frequenti non solo in campagna, ma anche nei centri abitati, dalle periferie torinesi alle aree urbane di Genova e Roma. Le nutrie, introdotte originariamente per l’allevamento da pelliccia, hanno colonizzato fiumi e canali, erodendo argini e mettendo a rischio infrastrutture idriche. I corvidi e i piccioni sono ormai ospiti fissi dei centri urbani, con conseguenze dirette per igiene e decoro.

Il caso astigiano, però, assume un valore simbolico perché mette a nudo la difficoltà delle istituzioni nel trovare un equilibrio accettabile. La legittimità sociale di misure drastiche passa infatti non solo dalla loro efficacia tecnica, ma anche dalla capacità di dimostrare proporzionalità, controllo e trasparenza. Senza queste condizioni, ogni provvedimento rischia di essere percepito come una resa alla logica delle armi, alimentando diffidenza e conflitto.

Non mancano gli interrogativi di natura giuridica. L’abbattimento selettivo è uno strumento previsto dalla normativa, ma richiede sempre una puntuale motivazione e il rispetto di protocolli stringenti. Una forzatura in questa direzione potrebbe esporre le amministrazioni a ricorsi e contenziosi. Da qui la necessità di documentare in modo accurato i criteri che hanno portato a considerare le specie in questione “sovrannumerarie” e di garantire controlli indipendenti sugli operatori incaricati.

In definitiva, la scelta della Provincia di Asti è destinata a restare al centro del dibattito per settimane, se non mesi. I prossimi passi diranno se la misura saprà tradursi in un piano equilibrato di gestione, o se diventerà l’ennesimo terreno di scontro tra mondi incapaci di trovare una sintesi. La responsabilità politica e amministrativa, oggi più che mai, si misura sulla capacità di governare fenomeni complessi senza piegarsi a pressioni unilaterali.

Il perimetro è chiaro: da un lato la tutela dell’ordine pubblico, dell’agricoltura e della salute; dall’altro, le richieste di garanzie etiche, trasparenza e metodi alternativi. Nel mezzo, una comunità scientifica divisa e cittadini che chiedono regole chiare. La credibilità del provvedimento dipenderà dalla qualità delle risposte: indicatori solidi, protocolli verificabili, risultati misurabili. Solo così il piano di contenimento potrà superare la prova della fiducia.

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