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Salute
21 Agosto 2025 - 11:40
Biella una rete che non lascia soli i malati di SLA: dieci anni di cura integrata tra ospedale e territorio
Non è un reparto, non è un centro di ricerca e nemmeno un progetto sperimentale. È una rete di medici, infermieri, terapisti e psicologi che da dieci anni a Biella accompagna i malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) e i loro familiari. Un percorso nato nel 2014 all’interno dell’Asl BI, in collegamento con i centri regionali esperti di Torino e Novara, e che oggi rappresenta un modello di sanità integrata capace di unire ospedale e territorio.
La SLA è una malattia che non lascia tregua: la diagnosi è spesso tardiva, il decorso inesorabile, la prognosi difficile da accettare. Ed è proprio dopo la diagnosi che inizia la parte più dura, quella della gestione quotidiana, tra perdita di autonomia, difficoltà di comunicazione e il rischio di isolamento. Per evitare che il malato e la sua famiglia restino soli davanti a questo peso, l’Asl biellese ha creato un’équipe multidisciplinare che mette insieme riabilitatori, dietisti, anestesisti, palliativisti, logopedisti, psicologi e infermieri dedicati, con un coordinamento costante con le associazioni dei pazienti, come AISLA Biella e URSLA Novara.
La formula è chiara: una prima visita multidisciplinare, in cui il paziente incontra in un solo pomeriggio tutti i professionisti che lo seguiranno. Da lì parte un percorso personalizzato, costruito non in astratto ma sulle esigenze reali della persona e della sua famiglia. «È indispensabile che ci sia da subito una reciproca conoscenza tra il paziente e i professionisti – spiega Lia Rusca, direttrice della Medicina Riabilitativa – da qui l’idea di una visita unica, condivisa e coordinata».
Il modello punta a garantire le cure a domicilio, limitando ricoveri e spostamenti. Le Care Manager seguono la gestione quotidiana: trasporti, pratiche burocratiche, comunicazione con gli altri operatori, fino all’attivazione di sostegni economici. I fisioterapisti lavorano per mantenere la massima autonomia, i logopedisti introducono strumenti di comunicazione alternativa quando la voce si spegne, le dietiste cercano soluzioni per preservare un’alimentazione sicura, mentre gli anestesisti guidano nell’uso progressivo degli ausili respiratori, dalla tosse assistita alla ventilazione non invasiva.
Accanto agli aspetti clinici, c’è la parte più delicata: quella delle cure palliative precoci, che non si limitano alle fasi terminali ma accompagnano sin da subito le decisioni difficili, compresa la pianificazione condivisa delle cure. «Nelle fasi avanzate non è solo questione di trattamenti – sottolineano le infermiere delle Cure Palliative – ma di alleviare sofferenza fisica e psicologica, restando accanto al paziente e alla sua famiglia nel momento più complesso».
E non meno importante è il lavoro della psicologa, che affronta le reazioni emotive, i cambiamenti nelle relazioni familiari, la gestione del lutto anticipato. «È necessario facilitare e sostenere il benessere emotivo-relazionale, con rispetto e discrezione», osserva Cinzia Communara.
In dieci anni, l’équipe ha preso in carico sessanta pazienti, quindici dei quali oggi seguiti attivamente. Non numeri da grande ospedale, ma storie concrete di persone che, grazie a questa organizzazione, hanno potuto contare su un sistema di cura integrato, capace di offrire risposte rapide e coordinate.
Il direttore generale dell’Asl BI, Mario Sanò, lo definisce «uno spaccato di sanità pubblica che non fa notizia, ma che rappresenta il valore più alto del Servizio Sanitario Nazionale: integrazione di professionalità diverse per stare accanto ai più fragili». Per l’assessore regionale alla Sanità, Federico Riboldi, è «una sfida complessa, che l’Asl di Biella ha saputo affrontare con una risposta concreta e strutturata sul territorio».
Dietro alle parole istituzionali, restano quelle più semplici e dirette, come quelle di Anna, moglie di un paziente: «Non immaginavo lo sforzo e l’impegno che vedo ogni giorno per dare risposte di vero aiuto. Per questo voglio esprimere un sincero grazie a tutte le strutture per l’affetto e la gentilezza nei nostri confronti».
Una frase che racchiude meglio di ogni statistica il senso di questo modello: la vicinanza reale, fatta di volti e di gesti concreti, in una malattia dove troppo spesso i malati e le loro famiglie sono lasciati soli.
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