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Il Fontanile di Scarmagno, l’utopia agricola sepolta sotto l’erba alta

Il Fontanile di Scarmagno, l’utopia agricola sepolta sotto l’erba alta

Sette anni fa, tra entusiasmo istituzionale e speranze contadine, prendeva forma a Scarmagno il progetto del Parco Agricolo Didattico Il Fontanile. Doveva essere un esempio virtuoso di valorizzazione del territorio, un modello replicabile di agricoltura sostenibile, un laboratorio a cielo aperto per le scuole e un'opportunità concreta per l’impresa agricola locale. Oggi di quel sogno restano le barbatelle morte, le lavande mai fiorite e una pista ciclo-pedonale scomparsa sotto rovi e sterpaglie. Nessuno si è fatto avanti per rilevarlo: l’asta pubblica, scaduta il 12 giugno, è andata deserta. Nessuna proposta, nessun rilancio. Il fallimento è ufficiale.

La storia del Fontanile è quella di un grande slancio progettuale che, per cause diverse e concatenate, si è trasformato in una delle tante incompiute italiane. L’area di oltre 76.000 metri quadrati, a ridosso dell’autostrada Torino-Aosta e vicina agli impianti sportivi e scolastici di Scarmagno, era stata affidata nel 2018 all’impresa agricola Biamara di Caluso, con un contratto di comodato d’uso gratuito della durata di vent’anni. Sei ettari furono destinati alla coltivazione del vitigno autoctono Erbaluce: 7.000 barbatelle distribuite su 70 filari, con una prospettiva di produzione di circa 50.000 bottiglie di vino all’anno. Ambizioso, ma plausibile.

Accanto al vigneto, c’era il secondo tassello: 3.500 piante di Lavandula Officinalis Chaix, curate dall’agricoltore Mauro Favaro di Rueglio, con l’idea di esplorare le potenzialità cosmetiche, aromatiche e medicinali di una pianta sempre più apprezzata dal mercato. Non mancavano i dettagli green: un percorso ciclo-pedonale lungo 1.500 metri, delimitato da piante di crespino, da segnalare con cartellonistica e pensato per l’uso educativo, sportivo e naturalistico. Insomma, un progetto integrato, che metteva insieme agricoltura, paesaggio, benessere e partecipazione civica.

Ma la realtà ha presto virato verso un’altra direzione. Il vigneto, a causa della flavescenza dorata, malattia virale trasmessa da un insetto (lo Scaphoideus titanus), ha iniziato a deperire. La patologia, se non contenuta, è letale per la vite, e senza cure tempestive si diffonde rapidamente. A peggiorare la situazione, è intervenuto un contenzioso legale tra il Comune e la ditta concessionaria, che ha determinato l’abbandono delle coltivazioni e l’interruzione della manutenzione. Il contratto è stato stracciato con anticipo, e l’intera area è rimasta in uno stato di sospensione, con le barbatelle infette e le lavande dimenticate.

Il progetto, colpito al cuore dalla flavescenza e dalla paralisi amministrativa, è rapidamente imploso. La lavanda non è mai arrivata a produzione, e senza irrigazione e sfalcio le piante sono scomparse. Il percorso ciclo-pedonale non è mai stato completato: oggi, al suo posto, regna la vegetazione selvaggia. Il terreno, pubblico, è rimasto formalmente in capo al Comune di Scarmagno, che si dice determinato a rilanciarlo, forse con destinazioni d’uso diverse. Ma rilanciare cosa? E come? Prima di tutto, secondo le indicazioni degli esperti fitosanitari, sarà necessario estirpare tutto il vigneto, eliminando ogni barbatella infetta, per evitare che la malattia si propaghi ad altre coltivazioni vicine. Solo dopo si potrà ragionare su eventuali reimpianti. E il resto? Le lavande sono ormai estinte, il sentiero inghiottito dalla natura, le barriere di crespino mai posate.

parco agricolo

In questa landa disillusa, il progetto Fontanile si rivela per quello che oggi è: un’occasione mancata. Un’iniziativa sulla carta ben congegnata, con investimenti iniziali, concessioni pluriennali, ambizioni didattiche e produttive, finita in un pantano di incuria, malattie e contenziosi. Il tutto sotto lo sguardo, ora determinato ora distratto, dell’amministrazione comunale. Il sindaco Adriano Grassino ha dichiarato l’intenzione di rilanciare il progetto con un nuovo bando, ma le premesse non sono delle più incoraggianti. Se nessuno ha partecipato al primo, e il secondo arriva dopo anni di degrado e abbandono, ci vorrà ben più di un avviso pubblico per riaccendere l’interesse.

La lezione che resta è amara, ma istruttiva. Non basta piantare viti e lavanda per parlare di agricoltura sostenibile. Servono piani chiari, cure continue, attenzione sanitaria, investimenti stabili, una governance capace di rispondere agli imprevisti. E soprattutto, servono mani che lavorano, occhi che sorvegliano, istituzioni che credono davvero in ciò che dicono. Altrimenti restano solo i sogni, e la terra incolta. E a Scarmagno, di terra abbandonata, ce n’è già abbastanza.

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