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Conquista l’Everesting più estremo del mondo con 9 cime, 8.996 metri e una bici sulle spalle

Impresa epica di Fabio Caldaro, 37enne piemontese, sulle Alpi della Valle d'Aosta in sella a una Mountain Bike

Fabio Caldaro con la bici in spalla verso la cima Rossa della Grivolaossa della

Fabio Caldaro con la bici in spalla verso la cima Rossa della Grivola

Il cielo era ancora scuro sopra Cogne quando Fabio Caldaro, 37 anni, idraulico di Brusasco, si è allacciato il casco, ha inforcato la sua mountain bike e ha premuto “Start” sul Garmin. Erano le 7 del mattino di sabato 26 luglio. Sapeva che non sarebbe bastato essere forte: per tentare il primo Everesting cicloalpinistico documentato al mondo, servivano qualcosa di più della resistenza, del fiato, dei quadricipiti di ferro.

Servivano visione, cuore, e quella sana dose di incoscienza che da sempre distingue i pionieri.

Trentacinque ore e venticinque minuti dopo, nel pomeriggio di domenica 27 luglio, con la schiena spezzata dal peso e la mente oltre ogni confine razionale, Caldaro ha fatto la storia.

L’ha scritta sui sentieri della Valle d’Aosta, pedalando e spingendo la sua bici per 111 km e 8996 metri di dislivello positivo. In autonomia. In verticale.

È il primo al mondo ad averlo fatto.

All'arrivo della seconda cima dell'Everesting

L’Everesting è una sfida che ha già un alone epico per definizione: ripetere una salita fino a raggiungere l’equivalente del dislivello dell’Everest, 8848 metri. In bici, a piedi, su strada.

Ma Fabio Caldaro non è tipo da girare in tondo. A lui interessano la fatica vera, quella con l’imprevisto dentro. Non il circuito, ma l’anello. Non l’asfalto, ma la pietra. Non la comodità, ma la conquista.

Ha progettato un percorso di nove vette oltre i tremila metri, tutte concatenate, tutte da salire e da scendere con la bici sulle spalle o sotto il sedere. Tuf, Rossa della Grivola, Testa del Gavio, Pousset, Arpisson, Creya, Laval Nord, Laval Sud e Torre Ponton: nomi che ai più non diranno molto, ma che per lui ora sono amici, sudore, sollievo e traguardi.

La notte tra sabato 26 e domenica 27 luglio l’ha affrontata sotto il cielo gelido, con il vento che mordeva le mani e il sonno che gli stava addosso come una coperta bagnata.

Alla fine, ha tagliato il suo traguardo. Che non era segnato da uno striscione, ma da una consapevolezza nuova: quella di essere riuscito, ancora una volta, ad andare oltre.

Con amici e famigliari all'arrivo dell'Everesting

Ma chi è Fabio Caldaro? Classe 1988, istruttore CAI della sezione di Chivasso, vice direttore della scuola, ex guardia venatoria e ambientale per quindici anni nella FIDC, tesserato della squadra ciclistica LordWheel, da cinque si dedica con sempre maggiore impegno al cicloalpinismo.

Un’attività che richiede conoscenze da escursionista, gambe da biker e testa da alpinista. Un mestiere che non esiste, ma che lui ha deciso di inventarsi.

Dopo anni passati a pedalare e a portare la bici in quota, nell'autunno 2024 si è lanciato in un’altra impresa folle: compiere il Tor des Géants in MTB, in autonomia, in meno di 150 ore. Ha chiuso in 148 ore e 24 minuti. Da solo. Con 389 km e oltre 26.000 metri di dislivello sulle spalle. Letteralmente.

Quella del TOR è un’altra storia di fango e determinazione. Quando partì da Courmayeur, l’8 settembre 2024, pioveva. E avrebbe continuato a piovere, nevicare, sferzare vento per giorni. Ma Caldaro non ha mai pensato di fermarsi. Ha dormito meno di venti ore in totale, spezzando le sue tappe in sei giornate di martirio, affrontando tratti di “deportage” in cui si avanza trascinando la bici più che portandola. Alla fine ha chiuso l’anello, “aggirando” tutta la Valle d’Aosta. Per dimostrare che si può fare. Che anche i giganti si possono domare. Ma solo con rispetto.

Ed è proprio questa la parola chiave del suo messaggio.

Fabio Caldaro non cerca la gloria, ma la condivisione. Vuole lanciare un appello: che la montagna torni ad essere casa di tutti.

“La montagna è per me condivisione della fatica, coronamento di piccoli sogni - dice -. Solitudine che aiuta ad affrontare poi le sfide quotidiane e a superare le proprie paure. È un porto tranquillo, un posto sicuro anche nei momenti difficili”, racconta. Per questo, i suoi progetti hanno sempre un’anima collettiva: dalla raccolta fondi per l’ambiente alpino, ai ringraziamenti per chi ha creduto in lui.

“In questo progetto mi hanno aiutato molte persone. Devo ringraziare tutti quelli che hanno perso del tempo per aiutarmi, che hanno donato soldi alla mia raccolta fondi e i miei sponsor: XXL di Chivasso, la palestra Bomaye, sempre di Chivasso, i ragazzi di Racestudio di San Carlo Canavese e il locale AllaGoccia di Brusson. Hanno creduto subito in me.”

L’Everesting del 26 luglio, con le sue nove cime oltre i 3000 metri, è stato quindi molto più di un’impresa sportiva. È stato un atto d’amore per la montagna. Una preghiera laica.

Con quel tracciato disegnato sulle carte come un filo rosso tra le creste, Caldaro ha tracciato un sentiero anche per gli altri. Ora chiunque vorrà provarci saprà che si può. E chi vorrà seguire le sue orme potrà farlo sul suo profilo Instagram, @il.caldo, dove racconta passo per passo le sue avventure, invitando chiunque a condividere un tratto, una salita, una discesa.

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