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Il solito Al Bano: dice basta a Sanremo, ma poi aspetta la chiamata per il 2026

Dopo l'esclusione del 2025, il leone di Cellino valuta un ritorno al Festival di Sanremo, ma chiede certezze.

Al Bano e Sanremo: un ritorno possibile? Il cantante attende garanzie per il 2026

Altro che addio a Sanremo. Altro che “mai più”. Al Bano ci ripensa, eccome. Il cantante di Cellino San Marco, escluso dall’edizione 2025 del Festival, sembrava aver chiuso per sempre con l’Ariston. Aveva giurato che non si sarebbe più sottoposto al verdetto sanremese. E invece… invece eccolo di nuovo a parlare del Festival. A parlarne con rabbia, con nostalgia, con desiderio. A parlarne da uomo ferito che non riesce proprio a farne a meno.

In un’intervista rilasciata a LaPresse, il tono è quello del reduce: “Non ci riproverò più”, diceva appena un anno fa. Ma adesso, sotto sotto, non ne esclude affatto un ritorno. Dice di non averci ancora pensato, ma nel frattempo manda un messaggio neanche troppo criptico a Carlo Conti: vuole garanzie, o almeno un segnale. E quel “se non mi vogliono non me ne frega niente” suona più come una sfida che come una rinuncia. Perché lo sappiamo tutti: se lo chiamano, lui c’è.

L’anno scorso, nella Sanremo firmata Amadeus, aveva addirittura presentato due brani, entrambi scartati. Uno smacco che gli brucia ancora. Ma invece di chiudere il sipario, il cantante pugliese resta in posizione di attesa. E come in un eterno copione, il suo nome torna a fluttuare tra i papabili, i nostalgici, gli immancabili. Perché Sanremo, per Al Bano, è una dipendenza più che un palco. Un’ossessione con cui ha fatto i conti per decenni.

C’è poi un altro fronte, su cui Al Bano non transige: il Festival si fa a Sanremo, punto. Che la Rai e il Comune ligure non abbiano ancora trovato un accordo per l’edizione 2026 lo preoccupa, e lo dice senza filtri. Secondo lui, pensare a un Festival lontano dall’Ariston è un sacrilegio, un’eresia musicale. E per rendere l’idea, tira fuori uno dei paragoni più “albaneschi” che si potessero immaginare: spostare il Festival da Sanremo sarebbe come prendere il Colosseo e portarlo a Cellino San Marco.

Chi conosce Al Bano sa che non è nuovo a uscite teatrali, esagerazioni folcloristiche e orgoglio territoriale. Ma in fondo c’è un fondo di verità: per lui, Sanremo è un rituale identitario, una liturgia laica della musica italiana. E spezzare quel legame storico equivale a tradire un pezzo di sé. Il Festival è la sua seconda casa, e non c’è show televisivo che regga il confronto.

D’altronde, la storia di Al Bano al Festival è una saga infinita. Quindici partecipazioni, l’esordio nel 1968 con “La Siepe”, poi successi, fischi, trionfi con Romina, eliminazioni cocenti e ritorni in pompa magna. Una carriera costruita a colpi di tenacia, corde vocali potenti e quell’aria da contadino tenace che non si arrende mai. È stato il volto dell’Italia nazionalpopolare, il simbolo di una televisione che cantava a squarciagola senza autotune. Con lui, la vecchia guardia sentiva ancora di avere voce.

Ma Al Bano è molto più di un ex sanremese nostalgico. È un personaggio da romanzo, che passa con disinvoltura dalla vigna di famiglia agli studi RAI, dalle tournée in Russia alle interviste a Domenica In, dai dischi di platino alle esternazioni su Dio, Putin, il vino e l’Apocalisse. È divorziato ma fedele alla sua immagine da eterno innamorato, padre severo e tenerissimo, nonno orgoglioso, ospite fisso in mille talk e show del sabato sera.

E poi c’è Cellino San Marco, il suo regno privato, la tenuta agricola trasformata in palcoscenico, ristorante, museo vivente. Un luogo in cui ospita fan, tv, giornalisti, troupe ucraine e orticelli pugliesi. Ogni tanto lo beccano a potare gli ulivi o a dirigere personalmente le degustazioni. Poi torna a fare le prove con l’orchestra. E poi, inevitabilmente, torna a parlare di Sanremo.

Quella frase – “non ci riproverò più” – è ormai acqua passata. Perché il richiamo dell’Ariston è troppo forte, e Al Bano lo sa. Se Carlo Conti gli tendesse la mano, lui ricomincerebbe tutto da capo. Magari con una nuova ballata all’antica, o una hit da bel canto rivisitato. Magari con Romina, magari da solo. Ma di certo non per stare zitto.

Nel frattempo, resta alla finestra. Ma mica con distacco. Con tutta la fame e la passione di chi sa di non avere più molto da dimostrare, ma ancora tantissimo da cantare.
E allora sì, se il Colosseo deve restare dov’è, anche Al Bano vuole il suo posto fisso all’Ariston. Con buona pace delle nuove generazioni, dei critici, e perfino di se stesso.

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