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26 Giugno 2025 - 19:55
Johnson Righeira da anni ha scelto di vivere in Canavese
Se il lavoro nobilita l’uomo, Johnson Righeira ha appena composto il suo manifesto libertario. Questa sera, giovedì 26 giugno, nel cuore di Torino, al Ramo d’Oro di Galleria Umberto I a Porta Palazzo, salirà sul palco alle 23.30 per presentare in anteprima il suo nuovo singolo: "Chi troppo lavora (non fa l’amore)". Un titolo che è già una dichiarazione d’intenti, ma anche un monito, un sorriso in faccia a quella modernità ansimante che ha sostituito il tempo del cuore con il cartellino da timbrare.
Il pezzo, dal groove elettronico e dal retrogusto post-ironico, porta in scena un Righeira vintage e futurista al tempo stesso, immerso in un universo di arcobaleni pop e solitudini danzanti. Lo dice anche la locandina dell’evento, un piccolo gioiello grafico in cui l’artista appare con occhiali da cyborg e cuore in mano, pronto a lanciarsi in un DJ set a cura di I-Robots e una live performance con tanto di merchandising dedicato.
Ma chi è oggi Johnson Righeira, al secolo Stefano Righi? E come siamo passati dal tormentone atomico "Vamos a la playa" al rifugio agreste tra le colline del Canavese?
Nel 1983, "Vamos a la playa" esplose come una bomba colorata in pieno agosto: una canzone danzante e catastrofica, in cui si ballava sulle ceneri di un’esplosione nucleare. Con il sodale Michael Righeira, alias Stefano Rota e Stefano Righi, inventarono una nuova lingua, fatta di spagnolo maccheronico, elettronica torinese, costumi da spiaggia e spirito dadaista. Seguì "No tengo dinero", che consolidò il mito: una canzone di poveri e disillusi che diventava, paradossalmente, un inno da yacht club.
Non erano meteore. Erano figli ribelli della new wave italiana, che affondavano le radici nel movimento studentesco, nel post-punk, nelle serate al Krypton e negli esperimenti del Teatro dell’Angolo. Eppure, come spesso accade, il successo commerciale fu talmente dirompente da schiacciare la loro complessità.
Poi, per anni, il silenzio. Ma i miti veri sanno aspettare.
La ribalta, per Johnson Righeira è tornata proprio dopo il Covid. Tournè, concerti. Il 2024, per lui, è iniziato nel modo più scintillante possibile: salendo sul palco del Teatro Ariston di Sanremo, durante la serata delle cover del Festival, con i Coma Cose. Loro, i due di “Cuoricini”, tra malinconia hipster e verità generazionali, lo hanno voluto accanto per celebrare una Torino che non muore mai, e un’idea di musica che è ancora radicale e pop al tempo stesso. E insieme hanno cantato "L'estate sta finendo".
È stato un trionfo. Un’esibizione tra autoironia e tenerezza, che ha stregato anche chi, quell'estate che a dire il vero non è finita mai, l’aveva solo sentita nei remix su TikTok. Il pubblico cantava. E Johnson sorrideva.
Johnson Righeira sul palco del Festival di Sanremo con i Coma Cose, durante la serata Cover
Ma la metamorfosi più sorprendente è quella che lo ha portato dalle hit alle bottiglie. Da qualche anno, infatti, Righeira ha messo radici nel Canavese, in una terra che profuma di viti e nebbia, e lì ha cominciato a coltivare un sogno enologico: l’Erbaluce.
Il suo vino si chiama Kutu. Nome misterioso, etichetta essenziale e visione chiara: produrre un vino sincero, fuori dagli schemi. È l’ennesimo gesto anarchico di un artista che ha sempre rifiutato le etichette, ma ha deciso di produrne una tutta sua, da uomo libero tra i filari. Oggi Kutu è una piccola eccellenza che fa parlare di sé tra degustazioni, festival e bottiglie numerate.
Ecco allora che il nuovo singolo, "Chi troppo lavora (non fa l’amore)", non è solo un brano: è un inno. Contro la frenesia, contro l’alienazione, contro un mondo che ha dimenticato l’ebbrezza e il desiderio.
In un’Italia stanca e iperconnessa, arriva Johnson Righeira a ricordarci che, tra un mutuo e uno spritz, è ancora possibile ballare, sorridere e innamorarsi, senza necessariamente essere tristi o profondi.
E questa sera, sotto il cielo di Porta Palazzo, l’elettronica torinese tornerà a pulsare, come un cuore pop che non ha mai smesso di battere.
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