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Licenziato dopo 25 anni per un errore burocratico sui permessi 104. Ora si ritrova, con due figli e una moglie invalida, senza un lavoro

Quando un errore burocratico spezza venticinque anni di fedeltà lavorativa: la storia di Fabio tra licenziamento, scioperi e dialogo negato

Licenziato dopo 25 anni

Licenziato dopo 25 anni per un errore burocratico sui permessi 104. Ora si ritrova con due figli e una moglie invalida, senza un lavoro

Non dorme più la notte, Fabio Orlando. Ha 48 anni, due figli, una moglie invalida da assistere, e da una settimana non ha più un lavoro. Dopo 25 anni passati in reparto alla Deloro Microfusione di Fizzonasco, a sud di Milano, è stato licenziato con una motivazione che ha scatenato uno sciopero a oltranza da parte dei colleghi. Tutto nasce da una questione burocratica, legata ai permessi 104 per l’assistenza della moglie. Fabio li ha usati, regolarmente, per 30 mesi. Finché, ad aprile, ha segnalato lui stesso all’azienda e all’Inps un problema sulla documentazione: la revisione del certificato di invalidità era scaduta, ma nessuno – né lui, né l’ufficio personale – se n’era accorto.

Sembrava un errore sanabile. C’era stata una disponibilità a restituire quanto indebitamente ricevuto. Si parlava di trovare una soluzione condivisa. E invece, il 25 luglio, è arrivata la lettera di licenziamento. Con accuse pesanti: «condotta lesiva della buona fede», utilizzo «non spettante» dei permessi, violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà.

Fabio ha avuto un malore. È svenuto in azienda, portato al pronto soccorso interno. Da quel giorno, 160 dipendenti su 193 hanno incrociato le braccia. Il presidio davanti ai cancelli va avanti senza sosta, su tre turni. La produzione è ferma, e l’arretrato stimato è di 8 milioni di euro. Gli operai non mollano. Non ci stanno a vedere un collega punito per aver detto la verità.

La storia fa rumore perché non è solo una questione legale. È una vicenda che tocca il rapporto tra lavoro e dignità, tra diritti e rigidità amministrativa. Fabio non ha mai ricevuto una lettera di richiamo. Ha fatto il suo dovere per 25 anni. Ha denunciato da solo un’anomalia, non per trarne vantaggio, ma per correttezza. Oggi si ritrova senza reddito, con i figli piccoli che chiedono quando tornerà a lavorare, e la sensazione che qualcosa si sia spezzato in modo irreparabile.

A rendere ancora più amaro l’episodio c’è il fatto che la Deloro – multinazionale della microfusione metalmeccanica – non è in crisi. Anzi, ha ordini fino al 2026 e sta pianificando 30 nuove assunzioni entro fine anno. Non si tratta di un taglio per difficoltà economiche. Qui la sensazione, come dice il delegato Fiom Andrea Torti, è che si voglia “dare un segnale” alla forza lavoro. Un messaggio di rigore, forse, ma che lascia sul campo una persona travolta da un errore che ha cercato lui stesso di correggere.

Al presidio è intervenuto anche il sindaco di Fizzonasco, Pierluigi Costanzo, schierandosi dalla parte dei lavoratori. Martedì è previsto un incontro formale con la mediazione istituzionale. La Deloro, per ora, non rilascia dichiarazioni. Ma la linea sembra tracciata: nessuna marcia indietro.

Nel frattempo Fabio continua a raccontare la sua storia. Parla di notti insonni, di giornate passate a spiegare ai figli perché non va più in fabbrica. Racconta di come ha gestito per anni da solo casa, figli, farmaci, pulizie, senza mai sottrarsi al lavoro. Oggi si ritrova fuori dalla porta per una data non aggiornata. Il suo sindacato parla di "un caso simbolico", che potrebbe fare giurisprudenza, ma anche di "un gesto disumano", che colpisce non un furbetto, ma un lavoratore corretto, che ha fatto un errore in buona fede.

Il braccio di ferro continua. Ma la domanda resta: può un errore formale valere quanto un quarto di secolo di lavoro onesto?

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