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Lotta alle mafie e alla droga: il Comune conferirà la cittadinanza onoraria a don Ciotti

Lo ha stabilito il Consiglio comunale, visti i suoi meriti e la presenza del Gruppo Abele e di altre associazioni sul territorio. Una cerimonia tutt'altro che simbolica

Lotta alla mafia e alla droga: il Comune conferirà la cittadinanza onoraria a don Ciotti

Don Luigi Ciotti

Il Comune di San Mauro Torinese è pronto a conferire la cittadinanza onoraria a don Luigi Ciotti, presbitero e attivista, fondatore del Gruppo Abele e di Libera – associazioni attive nella lotta alle tossicodipendenze e alle mafie.

Questo è quanto ha deciso il Consiglio comunale cittadino, riunitosi il 21 luglio per l'ultima seduta prima della pausa estiva. La proposta di conferire la cittadinanza onoraria a don Ciotti era già stata avanzata dalla sindaca nel corso della riunione precedente, a giugno, oltre che nell'assemblea capigruppo.

«Don Luigi Ciotti è un personaggio che non ha bisogno di presentazioni – ha dichiarato la sindaca Giulia Guazzora –. È attivo da tantissimi anni su più frangenti, come la lotta alla mafia e ancor prima con la nascita del Gruppo Abele nel 1974».

Giulia Guazzora

Ma qual è il legame tra don Ciotti e la città di San Mauro Torinese? «La cittadinanza onoraria solitamente viene conferita a persone che hanno un legame col territorio – ha precisato la sindaca –. Sul territorio di San Mauro abbiamo due strutture gestite dal Gruppo Abele, strutture che lui spesso visita. Una è quella di via Croce: dal 2008 donne, migranti e rifugiati di guerra, per un totale attuale di 25 ospiti minori compresi, sono accolti. Dal 1992, è attiva anche la comunità Mamma-Bambino a Villa Ulrich sulla nostra collina, con donne vittime di violenze o mamme sieropositive con i loro bambini». 

Oltre quindi alla volontà di conferire la cittadinanza onoraria a una persona meritevole, vi è quindi uno stretto legame tra le associazioni fondate da don Ciotti e la realtà sanmaurese. Libera e Abele, come ha ricordato Guazzora, sono solo la «punta dell'iceberg» delle associazioni che gestisce.

Tutto il Consiglio comunale si è trovato in accordo, con la mozione che è stata approvata all'unanimità. Un bel segnale di come la giustizia e la lotta alle tossicodipendenze possano mettere da parte le contrapposizioni politiche e le polemiche tra centrosinistra, centrodestra e liste civiche cittadine.

La cerimonia per il conferimento della cittadinanza onoraria si terrà il 26 settembre alle ore 18. L'amministrazione ha comunque anticipato che ricorderà alla cittadinanza l'evento con dovuto anticipo, mentre non sono ancora noti ulteriori dettagli sul luogo in cui si svolgerà, presumibilmente all'interno del municipio o in un altro luogo pubblico.

Palazzo Civico

Don Ciotti, la voce che non si piega

C’è un’Italia che resiste, ma lo fa in silenzio. E poi c’è quella che resiste alzando la voce, portando nomi e cognomi in piazza, sporcandosi le mani nei quartieri, rivolgendosi a chi è ai margini della società e provando a restituire loro dignità. In questa seconda Italia, Luigi Ciotti è da decenni una figura centrale. Non un eroe, non un santo, ma un uomo che ha deciso di non voltarsi dall’altra parte.

Torinese d’adozione, veneto di nascita, don Ciotti arriva in città con la famiglia nel secondo dopoguerra, abitando in una delle periferie più complicate. Ha vent’anni quando fonda il Gruppo Abele, che oggi è una delle realtà sociali più conosciute d’Italia. Ma all’epoca è solo un’idea radicale: stare accanto ai ragazzi tossicodipendenti, senza giudizio né pietismo. Condividere, invece che predicare. Aiutare senza farsi vedere superiori.

Nel 1972 viene ordinato sacerdote da Michele Pellegrino, e da lì in poi porta la tonaca nei vicoli dove la Chiesa spesso non arriva. Assistenza agli emarginati, accoglienza alternativa al carcere, scuole di strada: il suo è anche un sacerdozio civile, di frontiera. Negli anni Ottanta contribuisce alla nascita del Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (CNCA), e si batte senza sosta contro lo stigma sociale verso le persone sieropositive, collaborando con LILA in piena emergenza AIDS.

Ma è con l’assassinio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che la vita di don Ciotti cambia. Nel 1995, con un'intuizione semplice e potente, fonda Libera. Un nome, un programma: restituire ai cittadini quello che la mafia ha tolto. Beni confiscati, memorie negate, diritti calpestati. Libera diventa una rete che oggi raccoglie oltre 1.600 realtà tra associazioni, scuole, cooperative, enti locali. E diventa anche un luogo di denuncia: dal mensile “Narcomafie” alle campagne contro il voto di scambio, dai campi estivi nei terreni sequestrati ai boss alle marce per la legalità.

Non sono mancati, ovviamente, gli attacchi. Minacce, lettere anonime, parole cariche di odio. Riina lo citò tra i nemici da eliminare, e dal 2005 don Ciotti vive sotto scorta. Ma lui, al contrario di tanti, ha scelto di non abbassare mai il tono. «Non basta commuoversi, bisogna muoversi», ripete. E muoversi, per lui, significa ancora oggi girare per scuole, incontrare studenti, parlare di Costituzione, di responsabilità, di scelte.

Ha ricevuto decine di riconoscimenti, cinque lauree honoris causa e la nomina a Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. Ma continua a rifiutare ogni incasellamento. Quando lo chiamano “prete antimafia”, lui si schermisce: «Io sto solo dalla parte degli ultimi».

Negli ultimi anni ha messo in guardia più volte contro la “zona grigia”, quel sistema di relazioni, connivenze, silenzi che tiene in piedi le mafie anche quando non sparano più. La battaglia, dice, si gioca prima di tutto nelle coscienze. E per questo non basta ricordare le vittime, bisogna agire come loro. Con la stessa radicalità, lo stesso rifiuto del compromesso.

Don Ciotti dice che «la memoria è un vaccino contro l’indifferenza», ma la memoria, per lui, non è un rito. È un’arma.

Chi lo ha incontrato almeno una volta sa che non ama i riflettori, non sopporta le celebrazioni vuote e rifugge ogni forma di autorappresentazione. Ma in un Paese dove spesso si dimentica troppo in fretta, don Ciotti resta una certezza scomoda: non smetterà mai di chiedere giustizia. Anche quando non conviene più a nessuno. Anche quando restano pochi a rispondere. Anche se sarà l’ultimo a crederci.

Don Luigi Ciotti

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