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Via D'Amelio: la mafia uccide (anche) d'estate. Il Comune ricorda Paolo Borsellino

Trentatré anni fa il giudice palermitano e la sua scorta perdevano la vita. Un evento che non si può ridurre a mera commemorazione, ma che vuole ricordare l'impegno di uomini e donne nella lotta quotidiana a Cosa Nostra

Via D'Amelio: la mafia uccide Borsellino

Paolo Borsellino e la strage di via D'Amelio

Un giudice al servizio dello Stato, un italiano che credeva nella reale sconfitta della mafia. Un uomo giusto, che aveva già pagato la perdita del suo amico e collega Giovanni Falcone in un attentato su cui non si è mai fatta veramente chiarezza.

Paolo Borsellino, palermitano, 52 anni, perdeva la vita in un'altrettanto tragica strage il 19 luglio 1992. Nella sua stessa città, quella del Maxiprocesso, quella di Tommaso Buscetta, quella del pool antimafia.

A San Mauro Torinese, il ricordo delle vittime di via D’Amelio e di tutte le persone uccise dalla mafia si è celebrato anche quest'anno. All’angolo tra via Speranza e via Borsellino, a pochi passi dalla targa che ricorda il giudice, cittadini, amministratori e associazioni si sono ritrovati la sera di venerdì 18 luglio per una commemorazione pubblica promossa dal Tavolo per la Legalità, dal Comune e da Libera Piemonte.

Nel silenzio interrotto solo dalle letture, sono stati scanditi i nomi di Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, uccisi 33 anni fa in un attentato che ancora oggi è ferita aperta nella storia repubblicana. Ma la memoria non si ferma al passato. Non diventa rituale vuoto. Lo ha sottolineato con forza l’assessore alla Legalità Matteo Fogli, nel discorso tenuto di fronte ai presenti, tra cui molti consiglieri comunali, rappresentanti delle associazioni locali e semplici cittadini.

Matteo Fogli legge i nomi delle vittime

Nel suo intervento, Fogli ha richiamato il senso più profondo di una commemorazione che rischia, con il tempo, di diventare gesto formale, come aveva già dichiarato in occasione della cerimonia per ricordare Falcone: «Dopo 33 anni, il rischio di svuotare questa giornata e ridurla a una commemorazione quasi nostalgica va combattuto». Un invito netto a respingere ogni tentativo di strumentalizzazione politica, ribadendo che la lotta alla mafia deve essere “superiore ad ogni appartenenza e partigianeria”, fondata su una “tenace fiducia nel valore della legalità”.

Ma la memoria «non può essere dissociata da un impegno quotidiano, concreto, di contrasto alla corruzione, all’accomodamento, all’allentamento delle regole». Senza questo sforzo, ha proseguito Fogli, «partecipare a un ricordo così solenne è vergognoso e meschino». Il ricordo delle vittime di mafia non può essere “una cartolina da tirare fuori due volte l’anno”: o diventa pratica quotidiana, o rischia di diventare ipocrisia collettiva.

Le parole dell’assessore si sono concluse con un’esortazione rivolta a tutti i cittadini: «Vivi, come le vittime di mafia che ricordiamo oggi e ogni giorno dell’anno». Una frase che è sembrata indicare una direzione: essere “cittadini italiani vivi”, presenti, consapevoli, capaci di difendere la legalità ogni giorno, in ogni ambito.

L’iniziativa si inserisce tra quelle che negli ultimi anni hanno fatto di San Mauro un territorio attento al tema della legalità, con progetti nelle scuole, intitolazioni simboliche e momenti di riflessione aperta alla cittadinanza. Un lavoro quotidiano che prosegue, anche nel ricordo di chi ha perso la vita per difendere lo Stato.

19 luglio 1992: la vendetta di Cosa Nostra

La strage di via D’Amelio fu uno di quei giorni in cui la Repubblica sembrò franare sotto il peso della sua verità più scomoda. Era il 19 luglio del 1992, e alle 16:58, a Palermo, un’esplosione squarciò l’asfalto e la coscienza del Paese. A morire, sotto 100 chili di tritolo nascosti in un’auto parcheggiata, fu il giudice Paolo Borsellino. Insieme a lui cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Stavano accompagnando il magistrato dalla madre, per una visita domenicale. La mafia non concesse neanche quella tregua.

Borsellino sapeva. Sapeva di essere un uomo in pericolo, sapeva che dopo Falcone sarebbe toccato a lui, e lo diceva con lucidità disarmante. Ma non si è mai fermato. Fino all’ultimo giorno ha continuato a parlare, a incontrare studenti, a scrivere appunti, a pretendere verità. Quel che accadde dopo fu ancora più devastante: inchieste depistate, servizi segreti inquinati, processi riscritti più volte. Più di trent’anni dopo, la strage di via D’Amelio resta una ferita aperta. Perché non riguarda solo chi ha premuto il telecomando, ma chi ha permesso che tutto accadesse. Chi ha voltato la faccia. Chi ha coperto. Chi ha taciuto.

La strage di via D'Amelio

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