Cerca

Castiglione Torinese

Scomparso nel nulla nel 1962, ora il nipote cerca la verità sul nonno mai conosciuto

Dal Regno Unito a Castiglione Torinese, un figlio cerca di restituire al padre le radici che la vita gli ha strappato. Nessuna tomba, nessuna traccia, solo un nome e una promessa: non smettere mai di cercare

«Chi era mio nonno?»

«Chi era mio nonno?» La storia di Luca e il mistero di Alfredo Zanetti, scomparso da ogni memoria

L’anno è il 1962. Alfredo Zanetti, nato a Treviso, muore giovanissimo in un incidente in motorino a Castiglione Torinese o nei dintorni, poco dopo la nascita del figlio Luciano. Da allora, di lui non è rimasta traccia: nessuna tomba, nessuna testimonianza familiare, nessuna memoria condivisa.

A oltre sessant’anni da quel tragico evento, è Luca Zanetti-Springett, 36 anni, residente a Londra, padre di una bambina e marito, a prendere in mano il testimone della storia familiare. Con parole semplici ma cariche di speranza, ha pubblicato un appello su Facebook: “Sto cercando un aiuto per una ricerca di famiglia… mio nonno si chiamava Alfredo Zanetti e viveva a Castiglione Torinese negli anni ‘60… da anni sto cercando la sua tomba senza successo… ma soprattutto ora sto cercando parenti vivi della sua famiglia, come fratelli, sorelle, nipoti o cugini che possano raccontarci qualcosa di lui”.

Queste frasi, accompagnate da una fotografia del nonno da giovane, risuonano oggi più forti che mai. Parlano di un uomo al quale è stato negato il diritto alla memoria. E dove la memoria manca, si crea un vuoto che può pesare su intere vite.

Orfanotrofio e solitudine: la prima ferita

Quando una famiglia si spezza troppo presto, ritrovare il filo delle proprie origini può trasformarsi in un viaggio lungo una vita. Luca oggi ha una casa piena d’amore, un marito, una figlia, una nuova identità costruita tra Sudafrica, Italia e Regno Unito. Ma una parte della sua storia resta un mistero. E quel mistero ha un nome: Alfredo Zanetti.

Alfredo morì a soli 42 anni. Luciano, suo figlio, era nato da pochi mesi a Castiglione Torinese, e non avrebbe mai potuto conoscerlo. Due anni dopo, morì anche la madre, Evelina Piacentini (Lina), stroncata da un tumore. Luciano aveva appena tre anni.

La nonna materna lo affidò ad un orfanotrofio per bambini con disabilità mentali, nonostante fosse perfettamente sano. «Ricorda che lo picchiavano solo perché bagnava il letto», racconta Luca. Presto, iniziò ad imitare gli altri bambini, credendo fosse normale comportarsi così.

Una zia incinta e determinata andò a trovarlo. Quando lo vide seduto da solo in una stanza, che dondolava e faceva versi, capì l’errore. Voleva adottarlo, crescerlo come figlio accanto al bambino che stava per avere. Ma l’adozione non fu autorizzata. Luciano fu trasferito in un altro istituto, questa volta gestito dalle suore.

Ma non fu la fine del suo dolore. Insieme ad una delle sorelle, fu mandato a vivere con una zia e uno zio. Lì, gli abusi continuarono. Maltrattamenti fisici e umiliazioni senza tregua. 

Nuove terre, vecchie ferite

A 16 anni, nel 1977, Luciano riuscì finalmente a fuggire da quel passato. Si trasferì in Sudafrica, dove il fratello maggiore Willy lo accolse a braccia aperte. Iniziò una nuova vita: trovò un lavoro, imparò l’inglese, conobbe Brandy, una donna con due figlie da un precedente matrimonio. Luciano le adottò e poi nacque Luca.

Nel 1997, la famiglia si trasferì in provincia di Padova, dove Luca conobbe per la prima volta le zie paterne. Ma il passato tornò a bussare. Quelle donne non avevano mai accettato Brandy, e presto riemersero tensioni e giudizi. Luciano prese le difese della moglie e dei figli, rompendo ogni legame con la sua famiglia d’origine.

Unica eccezione fu lo zio Ivan, fratello di Luciano, che viveva a Merano. Con lui nacque un legame autentico. Ma anche quel filo si spezzò: Ivan morì dieci anni fa.

Oggi Luca vive a Londra. Lavora, ha una famiglia, una figlia piccola. Ma qualcosa dentro di lui lo spinge ancora a cercare. “Ora che sono padre anch’io, sento ancora più forte questo bisogno: mi manca una parte della mia storia. Vorrei rimettere in contatto mio padre con le sue radici e magari conoscere anch’io dei cugini, delle persone che forse mi somigliano, che condividono la mia storia".

Ha scritto a cimiteri e uffici di Torino, Castiglione Torinese e Treviso. Nessuna risposta. “È come se non fosse mai esistito”, dice. Nemmeno una lapide. Nemmeno un nome registrato. Il sospetto è che la famiglia materna di Luciano abbia voluto cancellare Alfredo. Non hanno mai parlato di lui. Non hanno permesso ai figli di conoscerlo. Nemmeno oggi vogliono farlo.

Eppure, secondo alcune informazioni, Alfredo aveva tredici tra fratelli e sorelle. Qualcuno potrebbe ancora essere in vita. Qualcuno potrebbe sapere. Un nome. Una data. Una fotografia.

“Voglio farlo non solo per me, ma come un dono per mio padre. Dopo tutto quello che ha passato, credo che meriti di sapere da dove viene e chi sono le sue radici", conclude.

Luca non cerca risarcimenti, né attenzioni. Solo una voce che dica: io l’ho conosciuto. Una tomba dove portare un fiore. Una memoria da restituire a chi ha vissuto troppo tempo senza. Chiunque abbia conosciuto Alfredo Zanetti, o faccia parte della sua famiglia, può scrivere a Luca all’indirizzo Mrzanettispringett@gmail.comPerché anche una sola parola, in una storia come questa, può salvare un’intera memoria.

Alfredo Zanetti da giovane

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori