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"Grazie ai razzisti, ci avete dato la carica": l’Italia U20 di basket è campione d’Europa e risponde agli insulti

L'Italia U20 di basket: campioni sul campo e simbolo di inclusione contro il razzismo

Grazie ai razzisti

"Grazie ai razzisti, ci avete dato la carica": l’Italia U20 di basket è campione d’Europa e risponde agli insulti

L’Italia Under 20 di basket è campione d’Europa, e non solo sul parquet. Con una vittoria netta contro la Lituania per 83 a 66 nella finalissima disputata alla Nea Alikarnassos Arena di Heraklion, in Grecia, gli Azzurrini hanno conquistato il titolo continentale. Ma il vero messaggio, quello che ha fatto più rumore, è arrivato dopo la sirena, con parole che non parlano solo di sport, ma di orgoglio, identità e dignità. A pronunciarle, o meglio a scriverle, è stato David Torresani, il playmaker ventenne autore di 13 punti in finale, che ha risposto pubblicamente – e duramente – agli attacchi razzisti subiti dalla squadra sui social durante il torneo.

La polemica era esplosa lo scorso 12 luglio, quando sul profilo ufficiale della Nazionale giovanile era stata pubblicata una foto di gruppo. L’immagine, innocua per chiunque ami lo sport, mostrava una squadra multietnica, giovane, coesa. Ma proprio quella diversità, quella presenza di giocatori neri e di seconda generazione, ha scatenato una valanga di commenti razzisti, carichi di odio e ignoranza. Decine di utenti avevano scritto che quella non era "l’Italia vera", che si trattava di “africani in maglia azzurra”, mettendo in dubbio non solo il diritto alla cittadinanza di quei ragazzi, ma anche il loro valore umano e sportivo.

Torresani ha scelto di rispondere sul campo, con prestazioni solide e un ruolo chiave nella vittoria finale. Poi, su Instagram, ha lanciato un messaggio che è già diventato virale: “Grazie mille a tutti i commenti negativi e razzisti sotto i vari post, ci avete dato la carica!”. Una frase semplice ma potente, firmata da tutti i giocatori della rosa, a dimostrazione che la Nazionale U20 non è solo una squadra, ma una comunità consapevole e unita, dentro e fuori dal campo.

L’Italia ha dominato il torneo e battuto in finale una Lituania storicamente tra le più forti d’Europa. Nei quattro quarti, gli azzurrini hanno mantenuto sempre il controllo del match, mostrando una pallacanestro veloce, corale, tatticamente matura. A brillare è stato Francesco Ferrari, top scorer con 26 punti, ma fondamentale è stato anche il contributo di Elisee Assui, autore di 17 punti, e di Torresani, regista lucido e determinato.

L’allenatore Alessandro Rossi ha saputo costruire un gruppo affiatato, dove la tecnica individuale si è mescolata alla compattezza di squadra. Ma oltre agli schemi e ai tiri da tre, questa nazionale ha dimostrato di avere una coscienza collettiva forte. Perché vincere un Europeo è un risultato sportivo. Ma rivendicare pubblicamente il proprio diritto di esistere in maglia azzurra, di rappresentare un Paese spesso ingrato verso chi ne incarna la diversità, è un gesto che va ben oltre lo sport.

Il caso, purtroppo, non è isolato. Negli ultimi anni gli insulti razzisti agli atleti italiani di origine straniera sono aumentati, non solo nel calcio ma anche in altre discipline. Basti pensare alle reazioni contro le atlete azzurre nella ginnastica o nel nuoto, alle polemiche su chi può indossare la divisa della Nazionale. L’odio si riversa ogni volta che il volto di un atleta non corrisponde all’immagine “classica” che una certa parte del Paese vorrebbe ancora vedere. Una mentalità vecchia, provinciale, ostile al cambiamento.

Ma i fatti raccontano un’altra storia. Raccontano che i nuovi italiani, nati o cresciuti nel nostro Paese, parlano italiano, pensano italiano e giocano per l’Italia. Non perché qualcuno li autorizzi, ma perché sono italiani a tutti gli effetti. E quando salgono sul podio, o alzano un trofeo, non lo fanno solo per sé, ma per un’intera generazione che spesso si sente cittadina a metà, guardata con sospetto anche dopo mille sacrifici.

Il trionfo della Nazionale U20 è quindi anche una vittoria contro il razzismo, una risposta civile e sportiva a chi pensa che l’azzurro debba avere un solo colore di pelle. In campo, la squadra ha dimostrato cosa significa davvero essere italiani nel 2025: condividere un progetto, una maglia, un sogno. Fuori dal campo, ha dato una lezione di dignità e maturità che molti adulti e rappresentanti istituzionali farebbero bene a studiare.

In un momento storico in cui l’identità nazionale è spesso usata come arma politica, questi ragazzi hanno ricordato che l’identità non è mai esclusione, ma appartenenza, e che si può amare un Paese anche se quel Paese fatica ancora a riconoscerti.

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