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18 Luglio 2025 - 10:12
I dazi americani minacciano 15 mila posti in Piemonte
Una nuova ondata di dazi dagli Stati Uniti rischia di travolgere l’economia piemontese, mettendo in discussione oltre 15 mila posti di lavoro e colpendo il cuore delle sue eccellenze produttive: automotive, meccanica di precisione e agroalimentare certificato. A lanciare l’allarme è un’analisi di ReportAziende.it, basata su dati Istat ed Eurostat, che fotografa un possibile scenario di recessione settoriale già a partire dall’autunno 2025. Il Piemonte, con 2,8 miliardi di esportazioni verso gli USA nei comparti colpiti, è una delle regioni italiane più vulnerabili.
Torino è la prima a tremare. Il capoluogo subalpino paga il peso di una filiera auto ancora dominante, soprattutto nella componentistica elettronica, nei sistemi di sicurezza e nella progettazione industriale, fortemente connessa al mercato nordamericano. Le tariffe statunitensi, che potrebbero entrare in vigore dal 1° agosto, rappresentano un colpo secco per fornitori e subfornitori radicati nella cintura industriale torinese. Anche l’alessandrino, con le sue imprese di meccanica e impianti industriali, rischia grosso: le vendite verso gli USA valgono circa il 6% del fatturato complessivo del comparto.
Ma a tremare non è solo l’industria metalmeccanica. Cuneo, Asti e il basso Piemonte vedono in pericolo un intero ecosistema produttivo legato all’agroalimentare Dop. Formaggi stagionati, salumi tipici, vini rossi Docg: sono tutti nel mirino dei dazi. Prodotti identitari, spesso con una forte componente artigianale, che rischiano di diventare fuori mercato per i consumatori americani a causa di tariffe aggiuntive fino al 35%. Coldiretti parla apertamente di "colpo durissimo", sia per le imprese sia per l’immagine del Made in Italy.
«Con i dazi al 30% e rincari aggiuntivi, sarà impossibile competere. Le nostre imprese vitivinicole e agricole rischiano l’estromissione da uno dei mercati più importanti al mondo» dichiara Monica Monticone, giunta esecutiva di Coldiretti Piemonte con delega al comparto vino. E avverte: «Anche i consumatori statunitensi ne usciranno penalizzati, privati della qualità autentica e vittime dell’italian sounding».
La tensione cresce anche sul fronte politico. Cristina Brizzolari, presidente di Coldiretti Piemonte, e Bruno Rivarossa, delegato confederale, non usano mezzi termini: «Von der Leyen ha fallito. In un momento critico per gli equilibri globali, Bruxelles si dimostra cieca e priva di visione strategica. Mentre le grandi potenze rafforzano la propria sovranità alimentare, l’Unione taglia le risorse proprio ai settori più strategici». Il riferimento è ai recenti tagli proposti al bilancio agricolo e alla mancanza di una risposta strutturata ai dazi imposti da Washington.
Se confermati, gli effetti dei dazi si faranno sentire anche sul mercato interno: secondo lo studio, l’aumento medio dei prezzi al consumo potrebbe toccare il 10% per alcune categorie ad alta specializzazione. In altre parole, i salumi tipici e i formaggi Dop non saranno solo meno competitivi all’estero, ma più costosi anche sulle tavole dei piemontesi. Un effetto a catena che rischia di alimentare tensioni sociali e impoverimento della domanda interna.
L’unica alternativa, per ora, sembra la diversificazione dei mercati. Ma non è semplice. Le rubinetterie e le imprese meccaniche piemontesi guardano già verso America Latina e Sud-Est asiatico, ma i tempi di riconversione sono lunghi, e l’accesso a nuovi mercati è ostacolato da burocrazia, dazi locali e concorrenza cinese.
In sintesi, l’effetto dazi rischia di essere una “tempesta perfetta” per il Piemonte, colpendo contemporaneamente l’industria pesante e le filiere agroalimentari di qualità. A farne le spese sarebbero imprese, lavoratori e consumatori. E mentre il tempo stringe, le istituzioni europee sembrano ancora lontane da una risposta concreta.
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