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Agricoltura
17 Luglio 2025 - 14:50
Pesticidi nel riso importato, cresce il sospetto sulla qualità dei prodotti esteri
Il riso basmati, considerato da molti un alimento sano e versatile, è finito di nuovo nel mirino delle autorità sanitarie. L’ultimo richiamo del Ministero della Salute riguarda un lotto contaminato da pesticidi non autorizzati, superando i limiti imposti dalla normativa europea. Ma quello che potrebbe sembrare un caso isolato è in realtà solo la punta di un iceberg, e a dimostrarlo sono i numeri.
Secondo i dati del RASFF (Sistema di allerta rapido per alimenti e mangimi), nei primi sei mesi del 2025 si sono contate 66 segnalazioni legate al riso. In media, una ogni tre giorni. Si tratta di una crescita netta rispetto al 2024, quando alla fine dell’anno le allerte erano state 191. Se il ritmo dovesse rimanere costante o aumentare, il 2025 rischia di chiudersi con un nuovo triste record.
Il problema riguarda in particolare le importazioni da India e Pakistan, due giganti della produzione mondiale di riso basmati. Da questi paesi proviene l’82% dei lotti segnalati: 29 dall’India e 25 dal Pakistan. È un dato che supera il già preoccupante 77% registrato nel 2024. I pesticidi trovati, spesso non autorizzati in Europa o usati in quantità proibite, mettono a rischio la salute dei consumatori e pongono seri interrogativi sulla qualità e la tracciabilità dei prodotti importati.
A rendere la questione ancora più delicata è il differenziale normativo tra l’Unione europea e i paesi terzi. Mentre i produttori europei sono soggetti a controlli rigorosi e a limiti stringenti sull’uso di fitofarmaci, le aziende straniere possono vendere in Europa merci non conformi alle stesse regole, grazie a una normativa comunitaria che, di fatto, non impone reciprocità. Questo penalizza sia i consumatori sia le aziende agricole europee, che subiscono la concorrenza sleale di prodotti meno costosi ma anche meno sicuri.
Riso basmati
Non usa mezzi termini Natalia Bobba, presidente dell’Ente Nazionale Risi, che ha definito la situazione ormai intollerabile, sottolineando come non sia più accettabile continuare a subire un sistema che penalizza fortemente i produttori europei. A suo avviso, il mercato dell’Unione dovrebbe essere aperto solo a quei prodotti che rispettano le stesse norme a cui sono sottoposti gli operatori europei in tema di sicurezza alimentare, tutela ambientale e diritti del lavoro. Il riferimento è chiaro: serve un intervento politico per proteggere non solo la salute, ma anche la dignità del settore risicolo europeo.
Il rischio, altrimenti, è quello di indebolire tutta la filiera, con agricoltori costretti a vendere a prezzi non sostenibili e con i consumatori esposti a contaminazioni pericolose, spesso inconsapevolmente. Perché se è vero che esiste un sistema di allerta, è anche vero che non tutti i prodotti vengono controllati, e non tutti gli allarmi raggiungono l’opinione pubblica.
Cosa si può fare, allora? A livello europeo, si discute della necessità di introdurre meccanismi di reciprocità e di rendere obbligatoria una certificazione di conformità per tutti i prodotti importati. Ma i tempi della politica sono lenti. Intanto, i consumatori possono agire subito, prediligendo riso di origine italiana o europea, possibilmente certificato e tracciabile, anche se questo comporta un prezzo leggermente più alto.
La filiera del riso in Italia ha una lunga tradizione ed è sottoposta a standard elevati, dal campo alla tavola. Scelta che garantisce non solo sicurezza alimentare, ma anche sostenibilità ambientale e tutela dei diritti dei lavoratori. Ma senza regole comuni per tutti, questa eccellenza rischia di scomparire sotto il peso di una concorrenza che gioca con carte truccate.
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