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15 Luglio 2025 - 16:12
Un gatto nero scienziato scopre un nuovo virus: la seconda impresa di Pepper
In laboratorio si aggira spesso, curioso come solo un gatto nero sa essere. Ma stavolta Pepper, felino dal pelo lucido e dall’istinto scientifico fuori dal comune, ha fatto qualcosa di più: ha contribuito a scoprire un nuovo virus. Un gesto semplice — la cattura di un toporagno — che ha innescato una scoperta accademica pubblicata sulla rivista Microbiology Resource Announcements.
Il suo compagno umano, il virologo John Lednicky dell’Università della Florida, non è nuovo a sorprese di questo tipo. Già nel 2023 Pepper gli aveva “regalato” l’opportunità di identificare il primo caso di jeilongvirus registrato negli Stati Uniti. Ma l’episodio recente porta la collaborazione interspecie a un altro livello: dal toporagno portato in casa da Pepper, il team guidato da Lednicky e dalla ricercatrice Emily DeRuyter ha isolato e identificato un ceppo di virus mai descritto prima. Si chiama Gainesville shrew mammalian orthoreovirus type 3 strain UF-1. E potrebbe dire molto sulla nostra comprensione dei virus zoonotici.
Un virologo, un gatto e un toporagno
Potrebbe sembrare l’inizio di una barzelletta, ma è scienza. Quando Pepper ha depositato la sua “preda” nella casa di Gainesville, Lednicky ha fatto ciò che farebbe ogni virologo con la strumentazione a portata di mano: ha analizzato i tessuti dell’animale. Il risultato? Un virus appartenente al genere orthoreovirus, noto per infettare uccelli e piccoli mammiferi, ma raramente segnalato negli esseri umani. Eppure, come spiega DeRuyter, alcuni studi stanno cominciando ad associarlo a sintomi neurologici e respiratori nei bambini.
Il ruolo di Pepper non è solo simbolico. Nella pratica della virologia ambientale e zoonotica, il monitoraggio di animali selvatici è fondamentale. Che il felino domestico abbia agito da “intermediario” tra la natura e la scienza è un fatto, e non è la prima volta che accade. Ma il contesto odierno, in cui l’attenzione mondiale ai virus emergenti è alle stelle, rende questa piccola scoperta un tassello importante in un puzzle più grande.
Il virus appena scoperto fa parte della famiglia Reoviridae, e contiene RNA a doppio filamento, una caratteristica che lo accomuna ad agenti patogeni resistenti e versatili. L’orthoreovirus viene normalmente trovato in pipistrelli, uccelli e roditori, ma può infettare anche l’uomo in determinate condizioni. Le infezioni umane note si sono finora presentate con encefaliti, meningiti virali o gastroenteriti lievi, e spesso non vengono diagnosticate, o vengono attribuite ad altri patogeni più comuni.

Una delle caratteristiche più interessanti degli orthoreovirus è che molti ceppi sono rimasti a lungo “orfani”, cioè non associati a nessuna malattia. Solo negli ultimi anni, con l’avanzamento delle tecniche di sequenziamento e un maggiore interesse verso i virus emergenti, si è iniziato a comprendere che alcuni orthoreovirus potrebbero rappresentare una minaccia non trascurabile.
Lednicky è chiaro su questo punto: «Non possiamo permetterci di ignorarli. Dobbiamo imparare a identificarli in fretta e capire dove si trovano, come si trasmettono e con quali rischi per la salute pubblica».
Il merito, va detto, è anche di un approccio scientifico multidisciplinare che guarda agli animali — domestici e non — come sentinelle biologiche. In un’epoca in cui i virus zoonotici rappresentano la nuova frontiera della virologia globale, ogni elemento dell’ecosistema può diventare fonte di indizi preziosi. La storia di Pepper e del suo toporagno dimostra che anche i comportamenti naturali di un animale domestico possono portare a scoperte concrete.
Il laboratorio di Lednicky non è nuovo a collaborazioni fuori dagli schemi. Negli ultimi dieci anni il virologo ha sviluppato un sistema di sorveglianza che include campionamenti ambientali, studi su vettori animali e sorveglianza passiva — come quella, appunto, dei predatori domestici.
Nel caso specifico, i tessuti del toporagno catturato da Pepper sono stati conservati e processati nel laboratorio di Gainesville, dove è stato possibile estrarre l’RNA virale e confrontarlo con le sequenze presenti nei database internazionali. Il risultato ha confermato la novità del ceppo virale, classificato ufficialmente come una variante finora sconosciuta dell’orthoreovirus di tipo 3.
Il prossimo passo? Capire se il virus può infettare l’uomo
Per ora, gli scienziati non hanno trovato evidenze dirette che il nuovo ceppo sia pericoloso per l’uomo. Ma la cautela è d’obbligo. «L’analisi genetica suggerisce alcune similitudini con ceppi già associati a patologie neurologiche e gastrointestinali», osserva DeRuyter. «Serve prudenza, ma anche rapidità nella ricerca».
Il team ha già avviato test in vitro per osservare il comportamento del virus su cellule umane. Parallelamente, si sta lavorando a una banca dati che permetta di tracciare con maggiore precisione le eventuali mutazioni e correlazioni con altri virus noti.
Nel frattempo, si apre anche il fronte etico e comunicativo. Il laboratorio di Gainesville ha ricevuto diverse richieste da parte di giornalisti e scienziati, incuriositi dalla presenza di un “gatto autore” in una scoperta scientifica. Anche se, formalmente, Pepper non figura tra i firmatari dello studio, è chiaro che senza di lui — o meglio, senza il suo istinto predatorio — questa scoperta non sarebbe stata possibile.
In un mondo abituato a immaginare la ricerca scientifica come un’attività asettica e distante, la vicenda di Pepper è un promemoria che l’osservazione del quotidiano e la curiosità restano motori insostituibili della scoperta.
Il virus scoperto grazie a un gatto non è solo un’anomalia da social, ma un monito per la scienza: restare aperti, guardare anche dove non ci si aspetta nulla, seguire le tracce invisibili lasciate dalla natura, anche se portate da un felino.
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