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Sul tumore facciamo rumore: l’abbraccio di Chiabotto alla storia di Matilde

Una storia di coraggio e speranza: Matilde trasforma la sua battaglia contro il sarcoma in un progetto di sensibilizzazione e raccolta fondi per la ricerca, dimostrando che la malattia è solo una virgola nel racconto della vita.

Aveva appena vent’anni, Matilde Dalmasso, quando il mondo le è crollato addosso. Era estate, era finita la scuola, e la vita prometteva ancora tutto. Prometteva l’università, le amicizie, i viaggi, i sogni. Ma un giorno, un dolore al fianco. Poi una visita. Un’altra. Poi il buio. Un sarcoma raro. Uno di quei nomi che non impari a scuola, ma che quando entra nella tua vita diventa tutto. La paura, la terapia, la stanza d’ospedale, la nausea, il letto, le lacrime.

Ma Matilde, invece di farsi divorare, ha fatto una scelta diversa. Una scelta che pochissimi avrebbero avuto il coraggio di fare: ha alzato lo sguardo. Ha acceso la luce. E ha deciso di raccontarsi. Senza retorica, senza filtri. Con tutta la verità, quella che fa male, e tutta la bellezza, quella che resta quando tutto sembra finito.

È così che è nato il progetto “Matilde”, partito ufficialmente all’Istituto di Candiolo – IRCCS grazie alla raccolta fondi da lei promossa e alimentata con una forza silenziosa ma travolgente. Quarantamila euro raccolti da più di cinquecento cuori che hanno deciso di non lasciarla sola. Quarantamila euro che oggi diventano ricerca. Vita. Futuro. Un progetto che ha l’ambizione più pura: individuare segnali, mutazioni, strade nuove per quei malati spesso dimenticati perché pochi, perché rari. Ma che rari non vogliono sentirsi mai più.

Il 2 luglio, davanti agli occhi commossi di tanti, Matilde ha consegnato un assegno simbolico ad Allegra Agnelli, presidente della Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro. Un gesto che aveva il peso di mille parole e il suono di una sola: grazie. Ma anche: andiamo avanti.

A raccontare questa storia, questa ragazza, questo abisso e questa rinascita, ci ha pensato Cristina Chiabotto, volto della Fondazione, in una video-intervista che non si dimentica. Una puntata del format “Sul tumore facciamo rumore” che ha qualcosa di sacro, perché ogni parola è vera, ogni pausa è vissuta, ogni emozione è reale.

“Non riuscivo a stare in piedi, né seduta”, dice Matilde nel video, “ma ho sempre cercato di restare positiva. E ho imparato a riconoscere chi ti vuole bene davvero. Perché quando sei nel dolore, la verità viene a galla”.

Poi racconta il primo ingresso a Candiolo. “Mi spaventava. Per me era il luogo della malattia. Ma ho trovato persone, occhi, sorrisi. Infermieri, medici, umanità. Mi sono sentita accolta. Compresa. Vista.”

Accanto a lei, la dottoressa Sandra Aliberti, che la segue giorno dopo giorno. E lo fa con quella dolcezza che i veri medici hanno nel sangue, quando la scienza incontra l’empatia.

Matilde non cerca pietà. Non la vuole. Non la chiede. Matilde parla perché sa che parlare è resistere. E sa che senza ricerca non c’è cura, e senza cura non c’è vita. “La ricerca è tutto. È ciò che regala occasioni a chi non ne ha più. È ciò che permette di guardare avanti”, dice. E nel dirlo non trema, non si commuove per sé. Si commuove per tutti.

Perché quella ragazza dai capelli corti e dal sorriso lieve non sta più parlando solo di sé. Sta parlando per tutti i malati invisibili. Per chi ha paura, per chi non ce l’ha fatta, per chi è ancora nel mezzo della battaglia.

La raccolta fondi continua. Il progetto ha bisogno di tempo, di risorse, di amore. Ma soprattutto ha bisogno di ascolto. Di cittadini che capiscano che la scienza non è un privilegio: è un diritto. Un investimento collettivo. Un gesto d’amore verso l’umanità intera.

E allora sì, Matilde fa rumore. Ma è un rumore bellissimo. È il rumore delle parole che curano, dei gesti che accolgono, dei cuori che si aprono. È il rumore della speranza, quella vera. Quella che nasce quando una ragazza di vent’anni decide che la malattia non sarà mai il punto, ma sempre e solo una virgola.

E noi, davanti a tutto questo, possiamo solo ascoltare. E imparare.

Cristina Chiabotto, da Miss Italia a voce della solidarietà:
la storia di una donna che non ha mai smesso di metterci il cuore

Alta, elegante, torinese fino al midollo. Ma dietro ai riflettori, Cristina Chiabotto è molto di più di una semplice showgirl. È una donna che ha saputo trasformare il successo in impegno, la bellezza in strumento, e il privilegio della notorietà in una voce per chi non ce l’ha. Una carriera costruita passo dopo passo, partendo da una corona — quella di Miss Italia 2004, vinta a soli diciotto anni — ma mai fermandosi lì.

Quella fascia, Cristina, se l’è tolta in fretta per mettersi al lavoro. Ha studiato, ha sperimentato, ha ballato (vincendo Ballando con le Stelle nel 2005), ha condotto programmi leggeri e altri più impegnativi, ha mostrato che dietro lo sguardo gentile e i lunghi capelli c’era una donna capace di reggere la scena, sorridendo con misura e parlando con intelligenza.

Ha attraversato gli anni della televisione generalista, cavalcando la stagione dei grandi eventi: Festivalbar, Scherzi a Parte, Le Iene, Real TV, ma anche il mondo dei fornelli con I menù di GialloZafferano. Sempre con un’immagine pulita, mai sopra le righe, sempre fedele a sé stessa e alla sua terra. Non è mai diventata una star da gossip, nonostante la lunga relazione con l’attore Fabio Fulco e poi il matrimonio con Marco Roscio, imprenditore piemontese, da cui ha avuto due figlie, Luce Maria e Sofia.

Ma se oggi il suo volto emoziona più di una campagna pubblicitaria o di una prima serata, è perché Cristina Chiabotto ha saputo farsi testimone credibile del dolore e della speranza. Il suo legame con la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro non è una trovata d’immagine, ma un rapporto profondo, costruito negli anni, fatto di presenze autentiche, parole giuste, ascolti silenziosi.

Nel format “Sul tumore facciamo rumore”, Cristina diventa il tramite tra il mondo dei malati e quello di chi può aiutare. Intervista, ma soprattutto ascolta. Come ha fatto con Matilde Dalmasso, la ventenne colpita da un sarcoma raro che ha dato vita a un progetto di ricerca all’Istituto di Candiolo. Cristina non finge commozione, non recita empatia: si emoziona davvero, si commuove, si lascia attraversare. E proprio per questo la sua voce arriva dritta al cuore.

Torinese, riservata, intensa, Cristina Chiabotto ha saputo rinnovarsi restando fedele a un’immagine di grazia e sobrietà che oggi, nel mondo delle luci forti e delle parole urlate, è un’eccezione. La sua è una bellezza che non stanca, perché è diventata maturità. Una presenza che non sovrasta, perché lascia spazio agli altri. Un volto noto che non cerca applausi, ma senso.

E se oggi Cristina torna sullo schermo per parlare di tumori, di ricerca, di coraggio, lo fa con la stessa naturalezza con cui un tempo conduceva in diretta il Festivalbar: mettendoci la voce, il sorriso e — sopra ogni cosa — il cuore.

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