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09 Luglio 2025 - 12:07
Sette cittadini su dieci chiedono di cancellarla. Tre su dieci vogliono che resti. Si è chiuso così, con un 70% di voti contrari all’ordinanza anti-alcol firmata da Claudio Castello, il nostro sondaggio lanciato nei giorni scorsi sulle pagine social del Giornale La Voce. Un risultato netto, schiacciante, che non lascia spazio a interpretazioni. E che impone una riflessione. Anzi, una decisione.
Cancellare o no l’ordinanza?
Perché la città ha parlato. E non si tratta solo di percentuali. Dietro quei numeri ci sono le voci di commercianti, residenti, ragazzi, famiglie. C’è la voce di una comunità che non si riconosce in un provvedimento incoerente, discriminatorio, ingiusto.
Un’ordinanza – lo ricordiamo – che vieta la vendita e il possesso di alcolici da asporto in alcune zone del centro storico di Chivasso, in alcune fasce orarie, a partire dal 2 luglio e fino al 26 agosto. Una stretta selettiva, chirurgica, a tratti grottesca.
In via Torino, piazza della Repubblica e piazza Dalla Chiesa non puoi comprare o portare una birra dopo le 20. In piazza Garibaldi e piazza XII Maggio 1944 il divieto scatta già alle 16.30. Ma basta spostarsi di pochi metri, varcare una soglia invisibile, e tutto cambia. Alcolici sì, alcolici no. Una mappa urbana degna del Risiko. Una regola che sembra fatta apposta per colpire qualcuno e salvare qualcun altro.
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E così, mentre i locali delle vie limitrofe continuano a vendere tranquillamente birra e vino, in via Torino Atiq Rahman – per tutti Atiq – deve tenere chiusi i frigo, ad esempio. Lui, che da anni ha costruito un piccolo presidio di civiltà e gentilezza nel cuore della città, oggi è trattato come un problema. Messo all’angolo da un’ordinanza che sa di scelta politica, più che di misura di sicurezza.
E allora sì, lo diciamo con forza: questa ordinanza è sbagliata. E ora che il popolo l’ha bocciata, che senso ha mantenerla?
Revocarla non è un segno di debolezza. È un atto di responsabilità.
Caro sindaco Claudio Castello, siamo ancora in tempo per rimediare. Per dimostrare che ascoltare i cittadini non è una concessione, ma un dovere. Per riconoscere che questa misura ha prodotto divisione, non soluzioni. Per dare un segnale vero, concreto, di vicinanza a chi lavora onestamente e tiene viva la città anche quando cala la sera.
Noi la nostra parte l’abbiamo fatta. Abbiamo dato voce ad Atiq, a tanti commercianti, a centinaia di cittadini che ci hanno scritto, commentato, risposto.
Ora tocca a te.
Castello, ora che fai?
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