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Il burro scompare dalle tavole italiane: è crisi!

Domanda globale in crescita e produzione sotto pressione spingono i prezzi del burro a livelli record in Europa

Crisi del burro

Il burro scompare dalle tavole italiane: è crisi!

Il burro, amato e demonizzato, sta vivendo in Italia una delle sue fasi più complesse. Da semplice ingrediente da spalmare sul pane è diventato negli ultimi mesi un caso da prima pagina, con prezzi in crescita, scorte ridotte, e una filiera sempre più in affanno. Una situazione che tocca l’intero comparto lattiero-caseario e che sta mettendo in crisi panificatori, pasticceri, ristoratori e consumatori.

Il nodo è internazionale, ma le conseguenze si vedono anche sotto casa: cornetti sempre più piccoli, torte meno burrose, scaffali vuoti nei supermercati, prezzi fuori controllo. Ma da dove nasce questa tempesta perfetta?

Il primo fattore è la domanda globale in aumento: Stati Uniti, Cina, Medio Oriente e India stanno comprando molto più burro di prima. L’Asia, in particolare, ha iniziato a importarne massicciamente per sostenere i nuovi stili di vita legati alla dieta occidentale. A ciò si aggiungono gli effetti del cambiamento climatico: estati troppo calde e inverni sempre meno prevedibili stanno mettendo in difficoltà la produzione di latte, da cui il burro deriva.

La produzione in Italia, secondo i dati più recenti di Assolatte, è rimasta stabile, ma le esportazioni crescono, e con esse le tensioni sul mercato interno. Se a questo aggiungiamo l’aumento dei costi energetici, la scarsità di mangimi, le difficoltà nel trasporto e le recenti speculazioni sui mercati agricoli, il quadro si completa.

Ma non è la prima volta che il burro diventa protagonista di una crisi. La sua storia in Italia è lunga e segnata da oscillazioni tra successo e discredito.

Nel nostro Paese, il burro ha avuto a lungo un ruolo marginale rispetto all’olio d’oliva, storicamente più diffuso nelle regioni del Centro-Sud. Solo nel Nord, e in particolare in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna, si è affermato come ingrediente di base nella cucina quotidiana.

Durante il fascismo fu esaltato come simbolo di modernità e potenza economica, in contrasto con l’olio, più “contadino”. Negli anni ’50 e ’60, con l’industrializzazione, il burro divenne il grasso della borghesia, simbolo di benessere, presente in ogni frigorifero.

Poi arrivò la campagna anti-grassi saturi degli anni ’80 e ’90, che lo demonizzò per decenni. In quegli anni si impose la margarina, mentre il burro veniva bandito dalle tavole dei salutisti. Solo negli ultimi 10-15 anni, grazie al boom del biologico e al ritorno a una cucina “vera”, ha vissuto una riscoperta culturale, anche tra i più giovani.

Oggi però la situazione è nuovamente complicata. Secondo Coldiretti, un panetto di burro costa in media oltre 3 euro, con punte fino a 5 per le versioni biologiche o artigianali. I fornai denunciano aumenti anche del 70% rispetto allo scorso anno, mentre le pasticcerie parlano apertamente di rincari insostenibili.

Alcuni stanno già correndo ai ripari: cambiano le ricette, si riduce la grammatura dei dolci, si usano grassi alternativi. Ma non è facile: "Fare un croissant senza burro è come scrivere una poesia senza parole", dice un pasticcere di Torino.

Nel frattempo, i consumatori si trovano a pagare di più per un prodotto che, paradossalmente, potrebbe anche diminuire di qualità. Il rischio, segnalano diverse associazioni di categoria, è che molti inizino a usare surrogati, oppure a importare prodotti dall’estero di bassa qualità.

E poi c’è l’effetto psicologico: il burro è anche memoria, tradizione, affetto. Fa parte delle colazioni d’infanzia, dei dolci della nonna, delle merende semplici. Vederlo sparire o diventare un lusso è un segnale di qualcosa che si rompe nel nostro immaginario collettivo.

A livello politico, le associazioni agricole chiedono interventi urgenti: da un lato incentivi per i piccoli produttori, dall’altro controlli più stringenti per evitare speculazioni e importazioni fraudolente.

Nel frattempo, il burro torna a dividere: tra chi invoca il ritorno alla margarina e chi difende a spada tratta il suo sapore insostituibile. Tra chi lo vede come un problema da affrontare e chi, invece, lo celebra come ultimo baluardo della cucina autentica.

Forse questa crisi ci costringe a riflettere sul valore dei cibi semplici, sulla filiera agroalimentare che troppo spesso diamo per scontata, sull’equilibrio tra produzione e consumo. Intanto, al supermercato, il burro sparisce un po’ alla volta. E con lui, un pezzo di quella colazione che da sempre profuma d’Italia.

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