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07 Luglio 2025 - 11:49
Gianmaria Favaretto, il diciannovenne che ha sfidato la tradizione: perché ha rinunciato all’esame orale di maturità e cosa rappresenta il suo gesto nel dibattito sull'educazione
Ha guardato la commissione dritta negli occhi, ha ringraziato, e poi si è alzato. "Io questo colloquio non lo voglio sostenere". Poche parole, un gesto netto, e Gianmaria Favaretto, 19 anni, ha voltato le spalle alla prova finale della maturità, una scelta che ha fatto rumore dentro e fuori dalla sua scuola, il liceo scientifico Fermi di Padova. Non una goliardata, né un capriccio adolescenziale, ma una presa di posizione lucida e argomentata, maturata nel tempo e messa in atto il giorno dell’orale.
La decisione ha sorpreso molti. Favaretto aveva già totalizzato 62 punti sommando i 31 crediti interni e il punteggio ottenuto nelle due prove scritte. Ne bastavano 60 per ottenere il diploma. La commissione ha comunque deciso di assegnargli altri 3 punti, probabilmente come riconoscimento per il suo percorso e la spiegazione fornita in aula. Risultato: diploma ottenuto, con un voto finale di 65.
Non si è trattato di un colpo di testa. "Ci ho pensato a lungo", spiega oggi Gianmaria. "Avevo già deciso da tempo, ma ho aspettato l’ultimo momento per comunicarlo. Non volevo partecipare a quella che considero una formalità priva di significato, una celebrazione dell’agonismo scolastico che mi ha sempre lasciato indifferente".
Il suo gesto ha scatenato reazioni contrastanti. C’è chi lo definisce coraggioso e coerente, chi lo accusa di snobbare un momento importante per la crescita personale. Ma Gianmaria non cerca approvazione. "So che potrei provare rimpianto in futuro", ammette. "Ma è meglio rimpiangere un rito che non sentivo, piuttosto che provare rimorso per aver preso parte a qualcosa che non rispecchia i miei valori".
La sua critica non è rivolta ai professori, né alla scuola in sé. È una riflessione sul sistema educativo, che – a suo dire – "mette al centro la prestazione e la competizione, invece della crescita interiore e culturale". Per anni ha osservato i suoi coetanei rincorrere il voto perfetto, vivere lo studio come un confronto costante. "Per me la scuola dovrebbe formare cittadini consapevoli, critici, capaci di stare nel mondo. Ma spesso si limita a misurare il rendimento, come in una classifica".
Il suo stesso percorso ne è la prova. Dopo una bocciatura in terza superiore, ha ricostruito con impegno e serietà il proprio cammino scolastico, affiancandolo all’attività sportiva come rugbista nel Cus Padova. "Non mi sono mai fatto ossessionare dai voti", racconta. "Ho sempre cercato di imparare per me stesso, non per ottenere un numero più alto degli altri".
Il gesto di Gianmaria si inserisce in un contesto in cui la maturità resta un rito centrale per la scuola italiana, ma sempre più studenti, specie tra i GenZ, mettono in discussione il suo significato. Negli ultimi anni, complici pandemia, DAD e nuove sensibilità, è cresciuta la consapevolezza che il voto finale non definisce una persona, e che l'esame non sempre misura davvero le competenze acquisite. Gianmaria ha semplicemente portato questa consapevolezza alle estreme conseguenze, rinunciando a un’opportunità simbolica che però, per lui, era già vuota.
La sua famiglia, inizialmente sorpresa, ha rispettato e sostenuto la sua decisione. E ora che il diploma è in tasca, per Gianmaria si apre una nuova fase: l’università. Biotecnologie, dietistica o fisioterapia, le ipotesi sono sul tavolo. "L’unica certezza è che voglio continuare a studiare", dice. Un paradosso apparente: chi rifiuta l’orale, ma non l’apprendimento.
Il caso ha già acceso il dibattito sui social. C’è chi lo definisce "un ribelle sensato", chi lo considera un "privilegiato", visto che ha potuto permettersi di rinunciare senza conseguenze. In ogni caso, ha posto una domanda che scuote molti studenti e genitori: la scuola deve ancora essere il regno dei voti, o può diventare finalmente un luogo dove conta anche il pensiero critico?
Il voto finale, alla fine, resta secondario. Il messaggio è più forte: "Non partecipo a un sistema che non condivido". E per un diciannovenne appena diplomato, in un Paese che spesso deride l’impegno e la coscienza civica dei giovani, non è cosa da poco.
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