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04 Luglio 2025 - 12:57
Il mar Ligure è in ebollizione: caldo record, ecosistemi in crisi e rischio climatico crescente
Le acque del mar Ligure sembrano ormai più simili a quelle tropicali che a un bacino mediterraneo: in questi giorni di inizio luglio, i ricercatori hanno rilevato temperature superficiali che hanno toccato i 27 gradi, un valore che normalmente si registra a metà agosto. Ma quest’anno l’estate è arrivata prima, più violenta, più estrema. E i dati raccolti dall’Università di Genova (Distav) e dal programma europeo Copernicus certificano il cambiamento in atto: tra i +3 e i +5 gradi sopra la media stagionale.
A lanciare l’allarme è anche Federico Grasso di Arpal, che sottolinea un fatto inquietante: lo zero termico è rimasto per quattro settimane consecutive oltre i quattromila metri, una soglia critica che mette in pericolo i ghiacciai dell’arco alpino. Non si tratta di un’anomalia isolata: si parla ormai apertamente di marine heatwave, un’ondata di calore marino che coinvolge l’intero Mediterraneo occidentale e che sta già producendo effetti devastanti sull’ecosistema.
Il mare soffre, la terra anche. Gli organismi bentonici – quelli che vivono ancorati ai fondali o alle rocce – sono in sofferenza nel 90% dei casi. Coralli, gorgonie, spugne e molluschi non riescono ad adattarsi a variazioni così rapide e consistenti. Alcune specie stanno regredendo, altre si spostano verso nord, alterando in modo irreversibile gli equilibri marini. Nel frattempo, la colonna d’acqua più calda favorisce l’evaporazione, generando fenomeni atmosferici sempre più estremi, dai nubifragi lampo alle grandinate distruttive.
E mentre la Liguria brucia, il Piemonte annaspa. Le ondate di calore che stanno colpendo la regione si fanno sempre più lunghe e frequenti. Dopo una breve pausa, le temperature percepite hanno superato i 36 gradi già dal 4 luglio, soprattutto nelle aree urbane di Torino e della pianura alessandrina. Arpa Piemonte prevede un ritorno delle perturbazioni nel weekend, ma si tratterà di fenomeni brevi e potenzialmente violenti. Nulla che possa risolvere l’emergenza climatica in corso.
La temperatura del mare continua a salire di anno in anno
Il report di Axa Climate traccia uno scenario inquietante per i prossimi venticinque anni: lo stress idrico interesserà oltre il 40% del territorio del basso Piemonte entro il 2050. Interi settori, come la viticoltura nelle Langhe o la frutticoltura nel Saluzzese, dovranno fare i conti con raccolti incerti e costi crescenti. Non solo: aumenteranno i giorni oltre i 35 gradi a Torino, Alessandria, Asti e Vercelli, rendendo le città sempre meno vivibili durante l’estate.
Ma non sono solo le persone a rischiare. Le infrastrutture strategiche della regione sono già oggi vulnerabili. A partire dall’autostrada A5 Torino-Aosta, che secondo i modelli climatici potrebbe essere interessata da inondazioni con livelli d’acqua fino a 130 cm entro metà secolo. Un problema non solo per la viabilità, ma per l’economia e la logistica di tutto il Nord-Ovest.
Cosa si sta facendo? Non abbastanza. Le misure di adattamento procedono a rilento, i finanziamenti sono spesso a pioggia, le strategie di lungo periodo ancora troppo teoriche. Gli enti locali chiedono supporto, ma servirebbero piani organici, monitoraggi continui e soprattutto una governance climatica multilivello, che coinvolga regioni, comuni, Stato e Unione Europea. Intanto, le ondate di calore aumentano, il mare si surriscalda, i ghiacciai si sciolgono.
È una crisi che non può più essere ignorata. L’eccezionalità sta diventando normalità, e ogni estate lo dimostra. Non basta più spegnere gli incendi o riparare i danni: bisogna intervenire prima, con una nuova cultura della prevenzione ambientale. Servono investimenti sulle reti idriche, sull’agricoltura sostenibile, sulla forestazione urbana, sull’efficienza energetica degli edifici, soprattutto quelli pubblici.
Nel frattempo, la cronaca ci restituisce un Mediterraneo che boccheggia, un Piemonte che si arrostisce, una popolazione che oscilla tra l’indifferenza e l’impotenza. Ma il tempo per agire è ora. Non nel 2030, non nel 2050. Se continuiamo a inseguire il cambiamento climatico senza anticiparlo, il prezzo da pagare sarà altissimo. In vite, in risorse, in futuro.
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