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Caldo estremo nei campi, Coldiretti chiede cassa integrazione anche per eventi climatici

Dopo lo stop nelle ore più calde, si riaccende il dibattito sulle tutele per gli stagionali

Caldo estremo nei campi

Caldo estremo nei campi, Coldiretti chiede cassa integrazione anche per eventi climatici

Non basta fermare il lavoro nelle ore più roventi. Per Coldiretti Torino serve un passo in più: estendere la cassa integrazione anche agli eventi climatici estremi. Perché i termometri che segnano 40 gradi non sono più l’eccezione, ma la nuova regola. E nei campi, dove la fatica si misura sulla pelle, le tutele sono ancora troppo poche.

L’obbligo di sospendere le lavorazioni agricole all’aperto dalle 12:00 alle 16:00 nei giorni in cui le previsioni segnalano un “rischio caldo Alto” è entrato in vigore anche in Piemonte. Una misura di buonsenso, imposta dall’ordinanza regionale e ribadita dal Protocollo quadro nazionale firmato a Roma dalla ministra del Lavoro Marina Calderone insieme alle organizzazioni agricole, tra cui Coldiretti.

Ma per Bruno Mecca Cici, presidente di Coldiretti Torino, questo non basta. "Dopo i provvedimenti sul lavoro nelle ore calde, bisogna estendere la Cassa Integrazione Operai Agricoli (CISOA) anche agli eventi climatici", avverte. Il riferimento è a un emendamento in discussione che, fino al 31 dicembre 2025, consentirebbe di superare il tetto delle 90 giornate annue di cassa integrazione per gli stagionali, categoria che rappresenta la stragrande maggioranza della forza lavoro nei campi.

Nel frattempo, Coldiretti nazionale, per voce del capo area lavoro Romano Magrini, ha promosso un nuovo approccio all'organizzazione del lavoro: incentivi per articolare le giornate su fasce serali e notturne, più sicure sotto il profilo climatico.

La salute prima di tutto, ricorda anche Carlo Loffreda, direttore di Coldiretti Torino: "Proteggere lavoratori e famiglie contadine è la nostra priorità. Ma senza tutele economiche concrete, anche le migliori ordinanze rischiano di lasciare sole le imprese". Ecco perché l’associazione insiste sul rafforzamento della CISOA: "È una misura di dignità, ma anche una garanzia di continuità lavorativa, che può aiutare le aziende a mantenere personale fidato e formato".

Nessuno nega che gli agricoltori siano da sempre abituati ad adattarsi, lavorando in modo flessibile, sfruttando l’alba e il tramonto, e riservando le ore più torride a operazioni meno esposte. Sotto le tettoie si pesano e si confezionano le cassette, nei capannoni si organizzano le spedizioni, in attività simili a quelle di un magazzino industriale. Ma la situazione è cambiata: le ondate di calore sono sempre più lunghe e intense, e i margini per riorganizzarsi si assottigliano.

A complicare le cose ci sono anche le eccezioni. La raccolta del fieno e dei cereali, ad esempio, può avvenire solo nel tardo pomeriggio, quando l'umidità è evaporata. E se è vero che le moderne mietitrebbie hanno l’aria condizionata, non tutte le aziende agricole possono permettersi mezzi così aggiornati. Molti lavoratori restano esposti, soprattutto tra i braccianti stagionali.

Il cambiamento climatico è ormai una variabile quotidiana nel lavoro agricolo, ma le leggi non si aggiornano con la stessa rapidità. Le norme su salute e sicurezza sono nate per tutelare lavoratori di fabbrica o di ufficio, non chi opera per ore sotto il sole cocente, in contesti spesso precari. Il rischio di un blackout occupazionale è concreto, se non si mettono in campo strumenti più robusti di protezione sociale.

Il Piemonte si muove nella giusta direzione, ma la sola ordinanza non basta. Per Coldiretti serve un impegno legislativo a livello nazionale, che riconosca lo status di "fragilità climatica" dell’agricoltura italiana e offra strumenti stabili, non solo deroghe temporanee. Altrimenti, il sistema agricolo rischia di crollare proprio nel momento in cui dovrebbe garantire produzione e sicurezza alimentare.

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