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Cronaca
03 Luglio 2025 - 22:09
Ex sede Inps
Nel caldo soffocante del primo pomeriggio di giovedì 3 luglio, la morte ha trovato casa a Torino. È successo al civico 290 di corso Giulio Cesare, in quello che un tempo era lo stabile dell’INPS, oggi ridotto a carcassa urbana, rifugio di fantasmi, disperazione e siringhe. Lì, dove l’asfalto incontra l’abbandono e il cemento crolla sotto il peso dell’indifferenza, la polizia ha rinvenuto un cadavere in avanzato stato di decomposizione. Nessun nome, nessun documento, solo un corpo. Solo silenzio.
Lo hanno trovato dopo una segnalazione, dentro un ex capannone industriale incastrato tra le rovine della città che fu e le lamiere dei concessionari d’auto. Zona grigia. Zona franca. Zona dimenticata. Dietro l’INPS, fra le sterpaglie e i vetri rotti, fra i gatti randagi e le carcasse di pneumatici, giaceva l’uomo, probabilmente di origine nordafricana, morto da giorni. Forse settimane.
Chi era? Perché era lì? Cosa lo ha ucciso? La droga, un infarto, il freddo della notte, o una mano violenta? Nessuno, oggi, sa rispondere. Sarà l’autopsia a stabilirlo. Saranno gli investigatori della Squadra Mobile a provare a rimettere insieme i pezzi di una storia che nessuno ha voluto ascoltare.
Intanto, i residenti osservano. Commentano. «Ci vivono i tossici lì dentro, io li vedo ogni giorno, scavalcano e si infilano. Pieno di siringhe, bottiglie rotte, ci sono i topi», dice una donna che sfama alcuni gatti randagi nei pressi del cancello arrugginito. E poi aggiunge: «Questo posto era una fabbrica, doveva diventare altro, ma nessuno l’ha mai comprata. Ormai sta cadendo a pezzi».
Sì, a pezzi. Come le storie che si incrociano in quel luogo: storie come quella di una donna di Settimo, che nel luglio 2017, disperata, si era data fuoco proprio lì, davanti agli sportelli dell’INPS, mentre chiedeva aiuto. Le ustioni, i soccorsi, il dolore: un gesto estremo che aveva scosso le coscienze. Per qualche giorno.
Poi, come sempre, tutto era tornato alla normalità. Come se nulla fosse accaduto. Come se quel palazzo non fosse stato teatro di tragedie, dolore, solitudine.
E ora, eccoci di nuovo. Un cadavere anonimo. Una morte che non fa rumore. Una sacca di degrado che nessuno svuota. E se ne accorge anche la politica. Verangela Marino, capogruppo di Fratelli d’Italia in Circoscrizione 6, lo dice senza giri di parole: «Fino a quando non si smantelleranno tutte quelle strutture divenute sacche di illegalità, continueremo a raccogliere cadaveri e a chiedere perché. Bisogna abbattere ciò che non è più fruibile, per tutelare la sicurezza di tutti».
Facile a dirsi. Ma intanto, corso Giulio Cesare resta terra di nessuno, confine vago tra città e abisso, tra legalità e sopravvivenza. Un luogo dove la miseria scava tane nei muri scrostati, dove l’abbandono matura frutti amari, dove la morte diventa solo un altro elemento d’arredo urbano.
E quel corpo, dimenticato e senza nome, è l’ennesimo grido nel vuoto.
LA VOCE DEL CANAVESE
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