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28 Giugno 2025 - 17:54
Canavese costretto a gestire la bomba ambientale
È finita. Ma non nel modo che i Comuni del Canavese speravano. Dopo anni di carte bollate, sentenze sfavorevoli e appelli senza esito, le amministrazioni locali hanno deciso di dire basta: nessun altro ricorso, nessun ulteriore giudizio. La gestione della discarica dismessa di Rivara, chiusa dal 2000 e ancora colma di 190mila metri cubi di rifiuti, passerà definitivamente nelle mani degli enti pubblici locali.
Un passaggio pesante, simbolicamente e praticamente. Perché quel sito, incastonato tra i boschi canavesani, è molto più che una ex discarica: è una ferita ambientale ancora aperta, potenzialmente pericolosa per il territorio, ma anche il simbolo di una delle pagine più oscure della gestione pubblica dei rifiuti in Piemonte. A partire dal fallimento del consorzio Asa, naufragato nel 2010 lasciando un buco da oltre 80 milioni di euro, e con esso una scia di responsabilità mai veramente chiarite.
A segnare l’epilogo giudiziario della vicenda è stata la recente sentenza del Tar, che ha stabilito con chiarezza un principio: la Comunità montana gestiva l’impianto prima del passaggio ad Asa, e con lo scioglimento dell’ente consortile, la titolarità e la responsabilità del sito sono tornate in capo ai Comuni e alle Unioni montane che ne erano successori ex lege.
Dopo anche la conferma in Corte d’Appello, Cuorgnè, l’Unione Montana Alto Canavese e l’Unione Val Gallenca – comproprietari del sito – hanno deciso di non ricorrere ulteriormente in Cassazione o al Consiglio di Stato, evitando così nuovi costi legali e ulteriori ritardi. È una scelta maturata con amarezza, ha spiegato il sindaco di Cuorgnè, Giovanna Cresto, che ha sottolineato come le sentenze ricevute siano state l’ennesima doccia fredda in una vicenda ormai estenuante. Per i Comuni, ha chiarito, continuare a impugnare le decisioni avrebbe significato solo allungare i tempi e aggravare le spese, con scarse probabilità di esito favorevole.
La discarica di Rivara
Ora tocca agli enti locali, senza più alibi. La “bomba ecologica” di Rivara è una responsabilità pubblica diretta, e dovrà essere gestita come tale. Le amministrazioni, ha dichiarato la sindaca, hanno già avviato un percorso per verificare quali attività siano ancora necessarie per la messa in sicurezza e la bonifica del sito, consapevoli che non è più tempo di rinvii o di scaricabarile. Ma resta, forte, il senso di ingiustizia per una situazione che affonda le radici in scelte e gestioni sbagliate, di cui oggi pagano il conto amministratori e cittadini che nulla hanno avuto a che fare con quegli errori.
Eppure, sottrarsi non è più possibile. Il rischio ambientale è reale, sebbene contenuto e costantemente monitorato, e la necessità di agire diventa ogni giorno più urgente. Anche perché quel sito è tristemente noto non solo per le sue criticità tecniche, ma anche per un fatto di cronaca nera che ha scosso l’Italia intera: nel 2016, proprio nella vasca del percolato della discarica, venne gettato il corpo senza vita di Gloria Rosboch, vittima del suo ex allievo Gabriele Defilippi e del complice Roberto Obert. Un luogo già fragile, divenuto anche teatro del peggiore dei crimini.
Oggi, mentre l’Italia discute di transizione ecologica e gestione sostenibile dei rifiuti, il Canavese si ritrova a gestire l’eredità tossica di un passato fallimentare. Senza clamori, senza più sponde politiche o giudiziarie, solo con la consapevolezza che la salute pubblica non si può mettere in pausa.
Per Cuorgnè, Rivara e gli altri Comuni coinvolti si apre una nuova stagione: quella della responsabilità operativa, della ricerca di fondi, della progettazione tecnica, della trasparenza. Con la certezza che il tempo delle scuse è finito e che nessuno si occuperà di Rivara, se non il territorio stesso.
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