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26 Giugno 2025 - 12:19
a Trento esplode il caso “Barbie Brigate Rosse” e fioccano dimissioni e accuse
All’Università di Trento esplode la polemica per una maglietta che mescola simboli delle Brigate Rosse e l’immaginario pop della bambola bionda. A indossarla e pubblicarne l’immagine su Instagram è stata Agnese Tumicelli, presidente del consiglio studentesco d’ateneo. Un gesto che ha sollevato accuse durissime, interventi parlamentari, un confronto diretto col rettore e, infine, le dimissioni della giovane studentessa. L’immagine, destinata a far discutere, mostra una figura femminile ispirata alla Barbie, armata di pistola, passamontagna, piede di porco, con sullo sfondo una Renault 4 rossa, la stessa utilizzata dai terroristi per il ritrovamento del corpo di Aldo Moro nel 1978. Sul petto della bambola, campeggia la scritta “Barbie Brigate Rosse”.
La maglietta è prodotta dal canale satirico online “Innioranza” ed è accompagnata da un testo provocatorio che, pur prendendo le distanze da un’apologia diretta, sembra accostare in modo spregiudicato la violenza politica degli anni di piombo alla situazione politica attuale. Il tono ironico e sprezzante ha sollevato forti reazioni. La denuncia è partita dal deputato Alessandro Urzì, esponente di Fratelli d’Italia e coordinatore per il Trentino-Alto Adige, che ha portato il caso in Parlamento chiedendo provvedimenti da parte dell’ateneo. L’episodio è stato definito offensivo nei confronti delle vittime del terrorismo e inaccettabile per una figura istituzionale all’interno dell’università.
Il rettore Flavio Deflorian, venuto a conoscenza del fatto attraverso la stampa, ha convocato Tumicelli per un chiarimento. Ha sottolineato che quel gesto non era in linea con i valori dell’ateneo e tanto meno con il ruolo che la studentessa ricopriva. L’Università di Trento, peraltro, non è nuova a polemiche legate al passato delle Brigate Rosse, avendo tra i suoi ex studenti anche Renato Curcio e Margherita Cagol, fondatori del gruppo terroristico.
Agnese Tumicelli ha cercato di spiegare il proprio gesto come una provocazione politica, negando qualunque intento di glorificazione della violenza. Ha affermato di riconoscersi nei valori democratici e di non appartenere ad alcun movimento radicale. Ha poi ammesso di aver sbagliato, dichiarando di assumersi la piena responsabilità dell’accaduto e ha formalizzato le proprie dimissioni, parlando di una forte esposizione mediatica e di un clima di pressione insostenibile.
In foto: Agnese Tumicelli e la maglietta che ha fatto scalpore
L’Associazione Vittime del Dovere ha condannato senza esitazioni il gesto, definendolo un oltraggio alla memoria dei caduti per mano delle Brigate Rosse. La vicepresidente, Ambra Minervini, figlia del magistrato Girolamo Minervini assassinato nel 1980, ha denunciato l’episodio come un atto che banalizza la violenza e vilipende la storia nazionale, ritenendo inaccettabile che chi se ne rende protagonista possa mantenere incarichi di rappresentanza in un’istituzione educativa.
L’intera vicenda riporta alla luce il delicato tema della memoria storica e della libertà d’espressione, soprattutto quando esercitata in contesti pubblici e istituzionali. In un tempo in cui la comunicazione passa per immagini e social network, il confine tra provocazione e irresponsabilità si fa sempre più sottile.
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