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17 Giugno 2025 - 15:36
Andrea Cantoni e Francamente
La miccia si accende su Facebook, ma la fiammata arriva fino ai corridoi delle istituzioni. A far esplodere la polemica è un post pubblicato dal consigliere comunale di Fratelli d’Italia Andrea Cantoni, che commenta una foto della cantautrice Francesca Siano, in arte Francamente, ritratta con la bandiera della Palestina tra le mani durante la manifestazione del Torino Pride. Una presenza che, evidentemente, Cantoni non ha gradito.
Il suo commento è un condensato di sarcasmo, disprezzo e giudizi personali: "La gentile signorina con due gatti sotto le ascelle e la bandiera della Palestina in mano è la stessa Francamente che definì il Tricolore italiano come anacronistico. A quanto pare preferisce il Quadricolore palestinese… Bisognerebbe solo spiegarle, alla luce della sua appassionata partecipazione al Gay Pride di Torino, cosa succede agli omosessuali in Palestina e in buona parte dei paesi arabi. Francamente, imbarazzante."
Una frase che in una manciata di righe riesce a mescolare body shaming, islamofobia, omofobia e discredito politico. Un attacco personale che colpisce l'aspetto fisico, l’orientamento politico, l’attivismo e l’impegno civile di un’artista che – si badi bene – aveva semplicemente partecipato, come moltissimi altri, a una manifestazione pubblica per i diritti.
Cadigia Perini, attivista e figura storica della sinistra eporediese è la prima a intervenire pubblicamente per difendere la cantante e condannare le parole del consigliere eporediese.
"Faccio i miei complimenti al consigliere comunale di FdI Andrea Cantoni per essere riuscito in un solo breve post a mettere insieme islamofobia, omofobia e body shaming", scrive con tono amaro, sottolineando come il messaggio, pubblicato sulla pagina ufficiale del consigliere, non possa essere sbrigativamente liquidato come opinione personale.
"La donna presa di mira dal consigliere è la cantautrice Francesca Siano, in arte Francamente. Una giovane artista impegnata nei diritti civili e nel sociale, che attraverso la sua musica vuole sensibilizzare in particolare contro le discriminazioni di genere. Una donna libera che liberamente esprime i suoi pensieri, come ha diritto di fare."
Ma Perini va oltre, e punta il dito sulla gravità politica dell’attacco: "Un gesto gratuitamente volgare, infimo, deprecabile, che non può passare come pensiero estemporaneo."
Per lei, e per molti, si tratta di una posizione politica consapevole e tutt’altro che casuale. L’affondo finale è un incoraggiamento, un invito alla resistenza culturale: "Avanti Francamente, perché quando si ricevono attacchi così bassi, sottoterra, nulla può essere scalfito."
A queste voci si unisce anche Franco Giorgio, che nel suo commento non fa sconti.
"Imbarazzante Consigliere Andrea Cantoni è lei il suo essere omofobico, islamofobico - stigmatizza - Un povero bullo che fa del body shaming verso una donna che manifesta per un popolo che sta subendo un genocidio. Si vergogni consigliere per quelle parole!!"
A colpire è l’assoluta sproporzione tra il gesto della cantante – una foto, una bandiera, un’espressione del tutto legittima – e l’aggressività del commento istituzionale. Il corpo, le idee, la libertà d’espressione di Francamente diventano bersaglio di una cultura politica che mostra il proprio volto più intollerante e retrivo.
La polemica intanto cresce, e non solo sui social. A prendere posizione è anche le "Democratiche", associazione politica e culturale legata al centrosinistra e tra i cui principali promotori figura anche l’assessora eporediese Gabriella Colosso. In una nota molto dura diffusa sui social.
“Esprimiamo - si legge su Instagram - la nostra ferma solidarietà alla vittima di body shaming e condanniamo con forza la violenza verbale condivisa dal Consigliere Comunale di Ivrea di Fratelli d’Italia, Cantoni. Questo attacco, di natura politica, denigra l’aspetto fisico di una donna e rappresenta non solo una grave mancanza di rispetto ma un comportamento inaccettabile che offende tuttə.”
E ancora: “Ricordiamo al Consigliere che ogni parola ha un peso e ogni gesto può avere conseguenze profonde. Chi ricopre ruoli di rappresentanza ha il dovere di promuovere un ambiente inclusivo e di utilizzare un linguaggio rispettoso delle differenze e dei diritti di tuttə.”
Evidentemente da parte di Fratelli d’Italia – al momento – nessuna condanna, nessuna presa di distanza.
Vero è che il nome di Francamente non è nuovo al dibattito pubblico eporediese.
A marzo, durante un ciclo di incontri "Per l’emancipazione della donna", l’artista aveva partecipato a un evento speciale allo Zac! dal titolo "Sguardi oltre il genere. Potere, identità, narrazioni". Un appuntamento che aveva attirato l’interesse del pubblico e suscitato apprezzamenti trasversali, e anche, allora, qualche malumore di Andrea Cantoni sull'uso del Movicentro.
Nel frattempo Francamente continua a fare quello che ha sempre fatto: cantare, scrivere, schierarsi. Non grida, non insulta, non replica con rabbia. Ma si espone, con la voce e con il corpo. E questo, per alcuni, è imperdonabile. Perché una donna che non chiede il permesso è ancora, per molti, uno scandalo.
Francamente, non è lei l’imbarazzante. Ma chi si indigna per due ascelle o resta muto davanti a una cultura sessista e patriarcale che trasuda da certe parole e certi silenzi.
Ivrea è una città meravigliosa. Dove puoi trovare, nell’arco di una settimana, un convegno sul pensiero di Adriano Olivetti, un dibattito sull’Europa post-industriale, una rassegna sulla democrazia partecipata, una tavola rotonda sulla transizione ecologica, una proiezione su Hannah Arendt... e poi – improvvisamente – il consigliere Andrea Cantoniche ti parla delle ascelle di una cantante.
Perché Ivrea è così: capace di altezze vertiginose e di precipizi imbarazzanti, di slanci intellettuali da capitale della cultura e di scivoloni da bar dello sport sotto la curva. È la città dove si cita Gramsci a colazione e si fa body shaming a cena. Dove si scrivono pagine impegnate sui diritti umani e, qualche riga più sotto, si ironizza su due gatti sotto le ascelle di una donna.
E tutto questo, badate bene, non accade in una chat privata, ma sul profilo pubblico di un consigliere comunale.
E così, mentre altrove si discute di sanità, trasporti, fondi europei, Ivrea si interroga sulla pericolosità sociale dell’ascella non depilata.
Un nuovo filone di pensiero che meriterebbe almeno un convegno allo Zac!, magari con il titolo:
“Pelosità e decadenza: narrazione e controllo del corpo femminile nello spazio urbano”.
E nel frattempo Francamente canta. E partecipa. E si espone.
Senza invettive, senza insulti, senza potere.
Perché la libertà vera non è quella dei ruoli, ma quella dei gesti piccoli, di chi non ha nulla da difendere e tutto da esprimere.
E allora sì, Ivrea è ancora la città dei grandi dibattiti.
Ma deve decidere se vuole davvero continuare a esserlo.
Perché chi conosce bene questa città lo sa: ce ne sono due.
Una reale, e una "virtuale" che vive tutta su Facebook.
È lì che si fa politica, che si lanciano proclami, che si combattono guerre culturali a suon di emoji indignati.
Una città che discute, sì, ma che ci crede anche troppo.
Dove si pensa che un post sia una legge, che una frase sia letta da tutti, che un commento sia una mozione votata.
È la grande illusione: che tutto passi da lì.
Che basti scrivere per incidere.
Che basti offendere per vincere.
Che basti una battuta scomposta, un po’ di ironia cattiva e qualche condivisione per poter dire di aver fatto politica.
Peccato che non tutto passi da Facebook.
Dove sono rimasti, ormai, una manciata di irriducibili e qualche nostalgico in pensione.
La stragrande maggioranza dei giovani sta su Instagram, dove gli hater non trovano terreno fertile e vengono rapidamente ridimensionati.
E siccome sono arrivati anche lì (i politici, gli hater, i fancazzisti...), è già in corso un nuovo esodo: da Instagram a TikTok, dove – almeno per ora – chi predica resta a parlare da solo.
Finita qui? Macché. C'è già infatti qualcuno pronto a proporre una mozione in Consiglio comunale sulle ascelle.
Succederà, non succederà... Nel dubbio, mettiamoci comodi perchè a Ivrea, può succedere davvero di tutto, anche questo...
Ci sono città che si adattano. Che accolgono ogni cosa, che assorbono anche gli stonati. Città elastiche, morbide, che si piegano a ogni corrente, a ogni moda, a ogni sarcasmo buttato lì per prendersi un applauso facile. E poi c’è Ivrea.
Ivrea non si adatta. Non si piega. Non si stira. Ivrea resiste.
Resiste da sempre. Resiste con le fabbriche, con i libri, con i presìdi del sabato in piazza di città, ogni settimana, da più di tre anni. Resiste con i volantini ciclostilati, con i microfoni gracchianti, con le voci fiere. Resiste con le parole di Adriano Olivetti, che qui non è solo un nome scolpito su una targa, ma una presenza quotidiana, un’idea che continua a chiedere giustizia, bellezza, comunità.
Resiste con i percorsi partigiani che non sono diventati attrazioni turistiche, ma luoghi di pelle, di memoria, di eredità vivente. Ivrea non è mai stata una città folcloristica. Non sventola la Resistenza, la abita. Non celebra le lotte passate, le rinnova ogni giorno. Qui la memoria non è commemorazione, è materia viva. È quello che tiene insieme le persone, anche quando non sono d’accordo.
Ivrea non è solo un luogo. È una tensione costante tra ciò che è giusto e ciò che non si può accettare.
È la città dove ogni mese, da oltre 170 settimane, si scende in piazza per la pace. Non per moda, non per appartenenza, ma per principio. Perché la pace non è una parola da sbandierare, è una postura, una scelta, un lavoro lento e faticoso.
Ivrea lo sa. Lo sa bene. Perché qui, ogni pace proclamata ha un dolore sotto, una storia vera, un volto che si ricorda.
È la città dove l’Anpi è più presente dell’anagrafe. Dove ogni classe scolastica – dalle elementari al liceo – prima o poi legge l’articolo 3, e non lo fa per dovere, ma perché serve. Serve a capire chi siamo. Serve a scegliere da che parte stare.
Qui la Costituzione non si legge solo quando c’è un corteo. Si legge nelle biblioteche, nelle case.
Qui non si è “partigiani” per nostalgia, ma per attualità. Ecco perché il post di Andrea Cantoni non è solo inopportuno.
È fuori luogo nel senso più letterale del termine. Fuori da questo contesto. Fuori da questo clima. Fuori da questa etica collettiva che Ivrea si porta cucita addosso da ottant’anni.
Non è il tono, non è lo stile, non è nemmeno il contenuto – che pure è scivoloso, sessista, omofobo, islamofobo, e quindi già di per sé indigesto. È il fatto che non appartiene a questa città. È come un megafono in una biblioteca.
Come una risata grassa durante un minuto di silenzio.
Qui, quando si vede una bandiera palestinese, non ci si limita a commentare. Si studia. Si ascolta. Si discute.
Quando si incontra una persona con un’idea diversa, la si invita a parlarne. Magari anche animatamente, magari anche con toni forti, ma guai a toccare i diritti e le libertà.
E quando una donna alza le braccia, non si contano i peli, si ascolta la voce. Non si giudica il corpo. Si ascolta il messaggio. Perché qui ogni parola ha un peso. Ogni gesto ha un contesto. Ogni presa di posizione richiede responsabilità.
Ivrea non è una città che si accontenta del rumore. È una città che cerca il senso. Qui c’è ancora chi legge Olivetti, non per citarlo in conferenza, ma per provarci nella vita di tutti i giorni. Qui c’è chi scende in strada per la Palestina, ma anche per l’Ucraina, per Gaza, per le donne iraniane, per i bambini siriani, per ogni essere umano che soffre.
E chi lo fa non si aspetta applausi. Lo fa perché non potrebbe non farlo. Qui non si sta dalla parte della pace per convenienza, ma per coerenza. E allora sì, non è un like che ti fa cittadino, qui. È una coscienza.
Una coscienza che ha visto la Storia, l’ha attraversata, e adesso la protegge.
Commenti all'articolo
Sovietico Eporediese
17 Giugno 2025 - 20:48
Lo sa cosa faceva il suo fondatore di Partito Almirante agli omosessuali? Bha oddio un giovane che a Ferragosto va da Mimmo Angurioteca manco fosse alla sfilata di Villa d'Este, chissà in che condizioni sono le sue ascelle. E comunque credo che sia una offesa nella lotta femminile da parte di un ragazzo che forse non ha cultura abbastanza per rispettare le Donne.
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