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25 Giugno 2025 - 10:56
Avvocatessa no-vax minaccia gli ospedali: «Niente vaccini o vi denunciamo»
C'è chi le ha ribattezzate “diffide culla”, come se bastasse un modulo precompilato per trasformare il reparto di neonatologia in un campo di battaglia legale. Ma dietro i toni formalmente cortesi di queste lettere c’è una strategia che ha fatto scattare l’allarme tra pediatri e neonatologi di tutta Italia. La protagonista è l’avvocata civilista Camilla Signorini, mantovana, già nota nell’ambiente no-vax, ora denunciata in sette procure per aver inviato diffide a numerosi ospedali italiani, chiedendo – tra l’altro – che non si somministrassero vaccini, tamponi, vitamina K o terapie salvavita ai neonati senza il consenso esplicito dei genitori.
Una delle lettere è arrivata anche all’ospedale Sant’Anna di Torino, scatenando la reazione della Società Italiana di Neonatologia, affiancata dalla Società Italiana di Pediatria. I medici hanno deciso di rivolgersi alla magistratura: le denunce, firmate dall’avvocato torinese Riccardo Salomone, sono state presentate alle procure di Torino, Milano, Brescia, Mantova, Lodi, Rimini e Roma.
Nel mirino, una serie di “imposizioni legali fai-da-te” che, se rispettate dai sanitari per paura di richieste di risarcimento (anche fino a 100mila euro), potrebbero provocare danni gravi ai neonati. Le diffide, infatti, vietano l’uso della terapia monoclonale contro il virus respiratorio sinciziale (VRS), nonostante il 60% dei bambini si infetti nel primo anno di vita, e proibiscono la somministrazione della vitamina K, necessaria per prevenire la malattia emorragica del neonato, potenzialmente mortale. Eppure – ricordano i querelanti – una legge del 2017 prevede l’intervento del giudice tutelare in caso di rifiuto totale da parte dei genitori.
Le accuse ipotizzate vanno dall’esercizio abusivo della professione medica alla diffusione di notizie false e tendenziose, passando per il procurato allarme e persino la truffa. Perché, dietro l’apparente tutela dei diritti genitoriali, si cela una strategia pericolosa: trasformare il rapporto tra medico e paziente in una continua sfida a colpi di avvocati e carte bollate.
Il caso ha suscitato un'ondata di preoccupazione tra i professionisti sanitari. «Ciò che colpisce – spiega una fonte ospedaliera – è il tentativo di impedire cure essenziali appena dopo la nascita, usando lo spauracchio legale». Ma i camici bianchi sembrano intenzionati a non lasciar passare sotto silenzio il caso, denunciando una deriva che mette in pericolo la salute dei bambini appena venuti al mondo.
Siamo di fronte all’ennesimo scontro tra libertà d’opinione e scienza, tra diritto di scelta e tutela della salute pubblica. Ma quando in gioco ci sono vite appena iniziate, il confine tra convinzioni personali e responsabilità collettiva non può più essere oggetto di ambiguità. La speranza, ora, è che la giustizia faccia chiarezza, e che i reparti di neonatologia tornino ad essere luoghi di cura e non teatri di contenziosi surreali.
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