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Parco Giovanni Ossola: la casetta dei pescatori marcisce

Un rudere pericolante, abbandonato nell’indifferenza generale. Nessuno sa cos’è, nessuno sa che farne. Ma tutti lo ignorano

La casetta dei pescatori abbandonata: un simbolo dimenticato del Parco Giovanni Ossola

La casetta dei pescatori abbandonata: un simbolo dimenticato del Parco Giovanni Ossola

Nel Parco Giovanni Ossola, uno dei polmoni verdi più frequentati della città, sopravvive un rudere. Lo chiamano, forse per abitudine, forse perchè un tempo era proprio così, forse per la vicinanza al Po, la casetta dei pescatori. Ma di romantico, in quella carcassa non è rimasto nulla.

Non è una vecchia casa di campagna in attesa di restauro. È una struttura fatiscente, pericolante, divorata dalla vegetazione. I muri sono scrostati, le tettoie divelte, le porte abbattute. E le piante, libere da ogni ostacolo, si arrampicano all’interno, facendo propria una costruzione ormai svuotata di senso e funzione. Un’immagine brutale, che urla abbandono a ogni passante.

Eppure è lì da tempo. A pochi metri dai bambini che giocano, dalle famiglie che passeggiano, dagli anziani che si esercitano. Una presenza che inquieta proprio perché ignorata. Nessuno sembra sapere cosa sia davvero quell’edificio. È pubblico? È privato? Ancora più grave: nessuno sembra sapere che farne. E l’incertezza, come spesso accade, è complice del degrado.

Attorno, tutto rafforza questa impressione. L’erba cresce alta e selvaggia, senza che nessuno si prenda il disturbo di tagliarla. Un albero caduto da giorni, forse settimane, blocca uno dei sentieri principali. Nessuno lo ha spostato. Nessuno lo ha segnalato. Nessuno sembra notarlo. È un abbandono lento, stratificato, che diventa paesaggio.

L’unico segnale visibile è un cartello sbiadito: “Attenzione. Vietato l’accesso. Strutture pericolanti”.

Ma anche questo, invece di chiarire, solleva dubbi. Chi l’ha messo? È un avviso ufficiale? È un’iniziativa privata? O forse il gesto spontaneo di qualcuno che, vedendo il pericolo, ha deciso di fare ciò che nessun altro stava facendo? Solo supposizioni. Come se anche quel cartello fosse spuntato dal nulla per dire una cosa soltanto: state lontani, ma non fate domande.

E invece le domande ci sono. Sono tante. E sono urgenti. L’amministrazione comunale è a conoscenza della situazione? E se sì, quali sono le intenzioni? Esiste un progetto di recupero? C’è almeno una prospettiva, un’idea, una direzione?

Perché se quella struttura è davvero pericolosa – e lo è – non bastano avvisi. Servono decisioni. Serve responsabilità. Serve pianificazione. Non è accettabile che, in un’area pubblica dedicata nel 2022 all’ex sindaco Giovanni Ossola possa sopravvivere in silenzio un edificio che ne tradisce lo spirito. Che lo svilisce. Che lo cancella, giorno dopo giorno, sotto l’indifferenza generale.

È vero, non tutto si può recuperare. Ma non tutto si può ignorare. E quel rudere, mezzo sepolto dai rovi, dall’erba incolta, da un albero abbattuto e dal silenzio delle istituzioni, oggi appare per quello che è: il simbolo di ciò che la città non ha voglia di vedere. Un simbolo scomodo. Ma proprio per questo, necessario. Perché chiede attenzione. Chiede risposte. E chiede, prima di tutto, consapevolezza.

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