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20 Giugno 2025 - 11:36
Annegamenti, una strage silenziosa: ogni anno 330 morti in Italia. Il 12% sono minori
In Italia si contano 350 decessi per annegamento ogni anno, un numero drammatico che si accompagna a 800 ospedalizzazioni e a ben 60mila interventi di salvataggio. Non si tratta di fatalità imprevedibili, ma di eventi in gran parte prevedibili e prevenibili, come sottolinea il primo rapporto dell’Osservatorio nazionale sugli incidenti in acque di balneazione, istituito dal Ministero della Salute e pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità. I ricercatori dell’ISS – Fulvio Ferrara, Enzo Funari e Dario Giorgio Pezzini – parlano apertamente di “malattia sociale”, un fenomeno che coinvolge comportamenti, carenze infrastrutturali, disattenzione collettiva e poca cultura della sicurezza.
Dal 2003 al 2020, secondo l’Istat, sono morte per annegamento quasi 7mila persone, con una media annua che si è ridotta negli ultimi otto anni ma che resta preoccupante: 342 morti all’anno. Oltre due terzi degli episodi registrati tra il 2016 e il 2021 si sono verificati lungo i litorali marini, ma una parte significativa – 470 casi su 1.327 – è avvenuta in acque interne, come laghi, fiumi e torrenti. Ed è proprio in queste aree, spesso non sorvegliate, che il rischio si concentra su soggetti vulnerabili, in particolare bambini e adolescenti.
I dati Istat rilevano, tra il 2017 e il 2021, 206 decessi per annegamento tra i 0 e i 19 anni, una media di 41 all’anno, con l’83% delle vittime maschi e il 47% sotto i 15 anni. Le cause? Secondo gli esperti, spesso si tratta di incidenti silenziosi: i bambini piccoli non gridano, non si agitano, scivolano in acqua senza essere notati. Un equilibrio instabile, la testa pesante, la tendenza a gattonare anche in piscina, bastano per trasformare pochi centimetri d’acqua in un pericolo letale. Nei più grandi, il comportamento impulsivo, la fiducia eccessiva nelle proprie capacità, la mancanza di istruzione sul galleggiamento e le tecniche di emergenza aggravano ulteriormente il rischio.
L'Iss lancia l'allarme sui dati degli annegamenti in Italia
Tra le situazioni più critiche, ci sono le piscine private, dove si verificano ogni anno 30-40 annegamenti. Un’indagine condotta dall’ISS su 100 casi di annegamento fatale tra i minorenni ha mostrato che quasi la metà è avvenuta in piscina, in gran parte domestica. Seguono le acque interne (34%) e il mare (20%). Un dato allarmante riguarda gli adolescenti stranieri, che rappresentano la quota più significativa di vittime nelle acque interne: spesso non sanno nuotare, non conoscono le regole di sicurezza e provengono da culture in cui il rapporto con l’acqua è marginale.
Le responsabilità si dividono tra famiglie, strutture ricettive e amministrazioni. L’assenza di barriere protettive, di sistemi di allarme, la distrazione degli adulti, la mancanza di cartellonistica, l’inadeguata sorveglianza nei luoghi pubblici sono tutti fattori che, messi insieme, creano una condizione di rischio sistemico. L’ISS suggerisce una strategia integrata: protezione fisica delle piscine, controlli più severi da parte delle ASL, cartelli chiari nei siti balneabili, coinvolgimento delle comunità migranti attraverso campagne tradotte in più lingue, e soprattutto educazione all’acquaticità fin dalla prima infanzia, con corsi pubblici anche per le fasce più fragili.
Il decalogo della prevenzione, già rilanciato con il progetto “Salvo il pesciolino” in collaborazione con nove regioni italiane, invita a frequentare solo zone sorvegliate, a evitare il bagno dopo mangiato o al sole, a non lanciarsi da scogliere, a rispettare la segnaletica. Ma non basta sapere: serve che ogni famiglia, ogni ente, ogni operatore si senta parte attiva della sicurezza acquatica. Perché i numeri non mentono, e ogni statistica è un volto, una storia, una vita persa troppo in fretta.
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