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L’Oasi che resiste: dopo l’alluvione, riapre il parco di San Sebastiano da Po

Un solo accesso tra le frane, ma la natura non si arrende

L’Oasi che resiste

L’Oasi che resiste: dopo l’alluvione, riapre il parco di San Sebastiano da Po

Non è solo una riapertura: è un atto di coraggio, una sfida alla burocrazia e al silenzio delle istituzioni. Sabato 21 giugno 2025, dopo mesi di fango, frane e paure, L’Oasi degli Animali torna finalmente ad accogliere i visitatori. Ma può farlo solo da un lato, quello di Casalborgone, lungo un nuovo sentiero nel bosco tracciato a tempo di record. L’altro accesso, da San Sebastiano, resta chiuso da aprile, quando un’alluvione ha travolto la collina chivassese lasciando ferite ancora aperte.

Il parco, che ospita decine di specie selvatiche – tra cui gufi reali, aquile, scoiattoli e cervi salvati da incidenti o sequestri giudiziari – è stato per settimane isolato, senza vie d’accesso, senza incassi e con gli animali da nutrire ogni giorno. Un paradosso crudele: il rifugio per eccellenza diventato trappola. La riapertura parziale è frutto di lavoro volontario e tenacia, ma non basta. Lo dicono i responsabili del parco, lo ribadiscono i cittadini che hanno donato attraverso Satispay e IBAN, lo denunciano i consiglieri regionali che hanno visitato l’Oasi insieme al presidente della Regione, Alberto Cirio, il Primo Maggio.

Quel giorno, tra le frane e i recinti spezzati, Cirio ha ascoltato. Ha visto con i propri occhi l’entità dei danni, la precarietà delle strutture, l’impossibilità di gestire un ecosistema senza visitatori e senza risorse. Ma le risposte concrete ancora non ci sono. Il decreto per il riconoscimento dello stato di calamità è stato trasmesso a Roma, ma nel frattempo la sopravvivenza dell’Oasi resta appesa a un filo.

La consigliera regionale Sarah Disabato, che ha accompagnato Cirio tra i sentieri devastati, è stata chiara: servono fondi e servono subito. “Gli animali non possono aspettare la burocrazia. E molti di loro non sono solo ‘ospiti’, ma sotto tutela statale. Il parco svolge un servizio pubblico, va messo in sicurezza. Subito”.

Il punto più critico resta la viabilità. Secondo le stime, il ripristino delle strade potrebbe richiedere mesi, ma per chi lavora ogni giorno all’Oasi, non c’è tempo da perdere. Il sentiero aperto da Casalborgone è una soluzione di emergenza, utile per permettere l’accesso al pubblico, ma non risolve i problemi strutturali. Il rischio è che, senza interventi rapidi, la prossima ondata di maltempo richiuda tutto di nuovo.

Eppure, nonostante tutto, il parco è ancora lì. Ferito ma vivo, popolato di animali e volontari che non si sono mai arresi. Ogni giorno viene garantita la cura medica, la distribuzione del cibo, la manutenzione delle aree danneggiate. Un impegno quotidiano che si scontra con l’assenza di risposte formali, con una Regione che promette ma non finanzia, con uno Stato che osserva ma non agisce.

Per questo la riapertura del 21 giugno non è solo un evento: è un segno di resistenza civile. Ogni biglietto staccato, ogni visita al parco, è un gesto concreto di sostegno a chi, lontano dai riflettori, combatte per la biodiversità e per il diritto alla natura. “Il parco è tornato. E non vede l’ora di accogliervi”, annunciano gli operatori. Ma non potranno farlo da soli. Senza fondi, senza interventi strutturali, l’Oasi rischia di spegnersi lentamente, nella consueta solitudine dei luoghi che non fanno notizia abbastanza a lungo.

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