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Piemonte: il cielo è cambiato, ma non tutti vogliono alzare lo sguardo

Tra negazionismi atmosferici e realtà scientifica: la lunga corsa del particolato fine attraverso l’Atlantico e le verità che fanno impallidire le teorie da bar

Piemonte: il cielo è cambiato

Piemonte: il cielo è cambiato, ma non tutti vogliono alzare lo sguardo

In questi giorni, mentre il cielo si è fatto lattiginoso e l’orizzonte è scomparso in una foschia sospetta, c’è chi ha subito sentenziato: «È solo umidità». Niente fumo, niente particelle, figuriamoci se il fumo dagli incendi in Canada può arrivare in Europa. E invece sì, non solo può farlo, ma lo fa regolarmente, da decenni, sotto gli occhi (e i satelliti) della comunità scientifica.

Certo, fa comodo pensare che il mondo finisca a 30 chilometri di distanza. Peccato che l’atmosfera non funzioni come la rete del Wi-Fi domestico, che si interrompe dietro al muro della cucina. La realtà è che il trasporto a lunga distanza di aerosol è un fenomeno studiato da oltre mezzo secolo, documentato con dati, simulazioni, misurazioni a terra e in quota. Che si tratti di ceneri vulcaniche, polveri sahariane o fumo da incendi boschivi, l’atmosfera si comporta da nastro trasportatore globale. E sì, il fumo dal Canada ha raggiunto l’Europa. Ancora.

Non si tratta di una teoria o di una suggestione visiva. Si tratta di pyrocumulonembi, nubi generate dal calore estremo degli incendi che spingono il particolato fine (come il PM2.5) fino a 10 o 12 chilometri di altezza. A quelle quote, entrano nella corrente a getto, un fiume d’aria in alta quota che trasporta tutto su scala emisferica. Il fumo non solo può attraversare l’Atlantico: lo ha già fatto nel 2017, nel 2021, nel 2023, e ora ancora nel 2025.

Chi liquida tutto come “umidità” dovrebbe forse dare un’occhiata ai dati. Ad esempio a quelli del Copernicus Atmosphere Monitoring Service (CAMS), che ha mostrato chiaramente il passaggio del particolato fine sull’Italia, la Sardegna e l’intero bacino del Mediterraneo, tra l’11 e il 15 giugno. Le mappe sono rosa, ma non è una scelta estetica: rappresentano il fumo in alta quota, visibile grazie alla variazione dell’AOD (Aerosol Optical Depth), un parametro che misura l’opacità atmosferica.

«I satelliti non vedono le particelle», dicono alcuni. Verissimo. Non vedono le particelle. Ma vedono tutto ciò che le particelle alterano: riflettanza, assorbimento, scattering. E poi ci sono i LIDAR, strumenti terrestri che mappano verticalmente la distribuzione degli aerosol, rilevando anche strati di fumo lontani chilometri dalla superficie. Ma tant’è: c’è chi preferisce guardare il cielo e dire che è solo una giornata un po’ uggiosa.

La scienza, per fortuna, non si fa influenzare dalle opinioni. Osserva, misura, analizza. E racconta una storia molto diversa: quella di un pianeta interconnesso, dove gli effetti di un disastro ambientale a migliaia di chilometri si vedono (e si respirano) anche da noi. Negarlo non rende l’aria più pulita. Serve solo a rendere più torbido il dibattito.

E mentre noi discutiamo se il fumo esista o no, in quota viaggia anche un altro passeggero: la polvere del Sahara, spinta verso nord da un promontorio subtropicale africano. Risultato? Uno strato combinato di aerosol desertico e fumo boreale, perfettamente visibile sopra il Mediterraneo. Altro che umidità.

Forse la verità sta tutta qui: il cielo è cambiato, ma non tutti vogliono alzare lo sguardo.

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