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Attualià
17 Giugno 2025 - 15:26
Matteo Maino, Referente Regionale di + Europa
C’era una volta il sogno di una festa popolare, di una città che si stringe attorno alle sue tradizioni e che sa trasformare le ricorrenze istituzionali in occasioni collettive di orgoglio e identità. Ma il sogno, a Cirié, si è scontrato con la realtà di un 120° anniversario celebrato a porte semi-chiuse e di un Palio dei Borghi ridotto a passerella autoreferenziale.
Le parole sono di Matteo Maino, referente regionale di +Europa e cittadino di Cirié, ma potrebbero essere quelle di chiunque abbia assistito con occhio critico alla recente doppietta di eventi che avrebbero dovuto rilanciare il senso di comunità e invece hanno mostrato, ancora una volta, tutte le crepe di un sistema chiuso e miope.
«Più autorità che pubblico», dice Maino senza giri di parole, «una sfilata di convenevoli e pacche sulle spalle tra pochi addetti ai lavori». Non una celebrazione per la città, ma un salotto ristretto per pochi eletti, dove le autorità si elogiano a vicenda e i veri protagonisti – cittadini, borghigiani, volontari – restano confinati ai margini. Cirié festeggia se stessa, ma senza i ciriacesi.
Il caso del Palio dei Borghi è, secondo Maino, ancor più emblematico. Quella che doveva essere una festa sentita e partecipata si è trascinata per settimane tra ritardi, incertezze, comunicazioni pasticciate e una macchina organizzativa che definire zoppicante è poco. «A pochi giorni dall’evento non si sapeva ancora nulla di certo», raccontano i borghigiani esasperati, vittime di un’improvvisazione che ha fatto franare mesi di preparazione e passione.
Eppure, paradossalmente, l’unico settore a funzionare davvero è stato quello che non fa spettacolo: i soccorritori, i carabinieri volontari, i presìdi di sicurezza. Presenze silenziose ma fondamentali, che hanno vegliato sull’incolumità di tutti con professionalità esemplare. «Un plauso meritato», riconosce Maino, «ma che stride ancor più con le mancanze organizzative del resto dell’apparato».
Quello che fa rabbia, secondo lui, è che Cirié meriterebbe molto di più. Non eventi che sembrano una formalità istituzionale, ma occasioni vere per rafforzare l’identità cittadina, includere, coinvolgere, valorizzare chi la città la vive ogni giorno. E invece, ancora una volta, a dominare è stata una retorica stantia, una celebrazione autoreferenziale utile forse solo a chi la usa per consolidare posizioni di visibilità e potere.
«È ora di cambiare paradigma», dice Maino con amarezza. Basta con le logiche di cortile, con le kermesse blindate, con la retorica degli “eventi” confezionati per compiacere se stessi. Serve una nuova visione: più aperta, partecipata, trasparente. Un modello in cui i cittadini non siano spettatori ma coautori della vita pubblica, in cui la città celebri se stessa attraverso la sua comunità, non al posto suo.
Cirié non ha bisogno di più discorsi dal palco. Ha bisogno di ascolto, coraggio e una politica culturale vera, non di un teatrino di ringraziamenti incrociati.
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