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Torino al buio, ristoratore in ginocchio: “Cinquemila euro di merce buttata. Una vergogna”

Blackout di 9 ore nel centro durante il concerto di Radio Kiss Kiss: locale chiuso, clienti mandati via, telefoni muti e cibo da buttare. “Abbiamo passato la notte aspettando la luce. Nessuno ci ha aiutati”

“Persi 5mila euro e 50 clienti”: il racconto amaro di un ristoratore nel blackout di Torino

“Persi 5mila euro e 50 clienti”: il racconto amaro di un ristoratore nel blackout di Torino (immagine di repertorio)

È stata una notte nera, in tutti i sensi. Un'intera città, Torino, piegata dal caldo e da un'infrastruttura elettrica che si è accartocciata su se stessa come carta bagnata. Un blackout esteso, brutale, devastante. Duecentomila persone sabato, centottantamila domenica.

Famiglie senza luce, anziani senza ventilatori, negozi al buio, traffico in tilt. Ma nel silenzio assordante delle cifre snocciolate in aula dal sindaco Stefano Lo Russo, ce n’è una che grida più forte delle altre: quella di chi ha perso tutto in una giornata che doveva essere di festa.

Come Daniele Rotondi, ristoratore, cuore pulsante del centro di Torino, titolare del Duomo Bistrot, proprio lì, in via Palazzo di Città, tra il Municipio e Piazza Castello.

Domenica sera, davanti al suo locale, migliaia di persone affollavano il centro per il concerto di Radio Kiss Kiss. Una serata d’estate, luci, musica, un’occasione per lavorare e guadagnare. E invece? Invece il buio. Un blackout durato nove ore ha spento tutto. Non solo le luci. Ha spento anche le speranze, le energie, la dignità di chi lavora ogni giorno dietro a un bancone, con il grembiule legato in vita e la testa piena di sogni.

"C'è stata una prima avvisaglia nella tarda serata di sabato, poi domenica mattina dalle 9.30 alle 10.30 è mancata di nuovo la corrente", racconta Rotondi, con la voce incrinata dalla stanchezza e dalla frustrazione. "Noi abbiamo le serrande elettriche, per cui non riuscivamo a entrare nel ristorante. Quando la luce è tornata abbiamo iniziato il servizio: il dehors era pieno e abbiamo lavorato fino alle 14.30. Poi la corrente è sparita e non è più tornata."

Mezza giornata di lavoro andata. Poi la sera, il colpo di grazia. Cinquanta prenotazioni. Cinquanta clienti che avevano scelto quel ristorante per cenare con vista sulla musica. Ma la cucina era al buio. Il frigorifero spento. I congelatori silenziosi come tombe.

Stefano Lo Russo

"Abbiamo aspettato il più possibile, poi abbiamo dovuto dire che non aprivamo", prosegue Daniele. "Visto che c'era il concerto con migliaia di persone che passavano davanti al locale, sono andato a comprare il ghiaccio in un supermercato e abbiamo provato a servire qualche bevanda al buio. Per tutta la durata del concerto, a partire da quando sono iniziate le prove, la corrente non è tornata. Noi non potevamo neppure tirare giù le serrande e ci preparavamo a passare la notte nel ristorante."

Ore e ore in attesa. Con la paura di dover dormire dentro, con l’ansia che la notte portasse altri disagi, con i clienti che chiedevano spiegazioni e i cellulari che si scaricavano lentamente, usati come router per i pagamenti con il POS. "Per fortuna – dice – a mezzanotte e mezza, quando il concerto è finito, la luce è tornata e abbiamo potuto chiudere."

Ma il peggio è arrivato il giorno dopo. Quando le luci si sono riaccese e si è scoperta l’entità del danno. "Questa mattina abbiamo dovuto buttare 4mila o 5mila euro di merce... un disastro", confessa. Con gli occhi lucidi e le mani nei capelli. Perché per un ristoratore, vedere il cibo buttato è come vedere il proprio lavoro finire in un cassonetto.

E poi ci sono i danni collaterali, quelli che non si vedono subito, ma che restano: "In passato è capitato qualche blackout, ma al massimo durava una o due ore. Tra l'altro senza luce c'è anche il problema del parcheggio: abbiamo l'auto nel silo di via Palazzo di città, che quando manca la corrente non si può usare, e per riattivarlo dopo serve un tecnico. In questa situazione ci sono 65 auto."

E l’assistenza? Il supporto? Nessuno. "Sul momento non abbiamo potuto fare molto: al telefono non ci rispondeva nessuno, e comunque i cellulari ci servivano per fare router per il pos prima che si scaricasse tutto. Oggi abbiamo scritto delle PEC al Comune, e ci stiamo attivando con Confesercenti per sapere se possiamo ottenere un risarcimento del danno."

Un risarcimento per non aver potuto lavorare. Per aver perso merce, clienti, serenità. Per non essere stati avvisati. Per aver passato la domenica a sperare che la luce tornasse. Per essere rimasti soli, in una città che sembrava abbandonata a se stessa, sotto il cielo opprimente di un’estate che non perdona.

E mentre Lo Russo in aula parla di "guasti concatenati", di "riconfigurazione della rete", di "ripresa del servizio", c’è chi si lecca le ferite, chi conta le perdite, chi si chiede se potrà continuare a lavorare in una città dove basta un colpo di calore per spegnere tutto.

Il blackout non è stato solo una questione tecnica. È stato un segnale. Un’allerta. Un colpo al cuore di chi Torino la tiene viva ogni giorno, tra un piatto servito e una bolletta da pagare. E nessuna dichiarazione tecnica potrà mai restituire a Daniele Rotondi e a tanti altri come lui ciò che è andato perso in quelle maledette nove ore di buio.

Immagine di repertorio

Torino in blackout, la politica in corto circuito

È successo davvero. Nel 2025, a Torino, una città che si riempie la bocca di parole come smart city, resilienza, transizione ecologica, bastano due giornate di caldo intenso per far saltare la corrente e mandare in tilt un’intera metropoli. Non per dieci minuti, non per un’ora. Per nove ore consecutive, in pieno centro, durante un grande evento cittadino, con migliaia di persone in strada e decine di attività commerciali al collasso. Non è solo un guasto. È un’umiliazione.

E mentre il buio avvolgeva ristoranti, parcheggi, abitazioni, telefoni muti e POS morti, dal Palazzo si facevano i conti con i numeri: 200mila abitanti sabato, 180mila domenica, 67mila forniture, 26 guasti. E giù cifre, dettagli tecnici, “durate non oltre le due ore”, “guasti concatenati”, “ripristini parziali”, “bassa e media tensione”. Ma i numeri, quando diventano escamotage per coprire la realtà, non illuminano nulla. Peggiorano solo l’oscurità.

La verità è che Torino è crollata. Crollata sotto il peso di una rete elettrica obsoleta, di investimenti forse promessi ma mai realizzati, di una manutenzione che si è rivelata grottesca. Ma soprattutto sotto il peso di una politica che si è fatta trovare impreparata, incapace di reagire con il minimo di tempestività che la situazione richiedeva.

Il sindaco Stefano Lo Russo ha parlato. Troppo poco, e troppo tardi. Ha spiegato. Ha precisato. Ha dettagliato. Ma non ha fatto quello che ogni amministratore avrebbe dovuto fare già domenica sera: chiedere scusa pubblicamente ai cittadini e ai commercianti, e dichiarare immediatamente le misure straordinarie per risarcire i danni subiti. Perché qui non si tratta solo di disagio. Si tratta di perdite economiche reali, di cibo buttato, di turni di lavoro saltati, di prenotazioni disdette, di automobili bloccate, di ore senza possibilità di usare un POS, un frigo, un condizionatore.

Dov’è il piano di indennizzo per i ristoratori come Daniele Rotondi, che ha dovuto buttare merce per cinquemila euro? Dov’è il fondo emergenze per i piccoli negozianti, gli artigiani, i baristi, i tassisti che domenica hanno perso incassi irrecuperabili? Dov’è l’ordinanza urgente che obbliga Iren e Ireti a intervenire subito per potenziare la rete cittadina?

È inaccettabile che a Torino nel 2025 basti un concerto e una giornata afosa per paralizzare l’intera città. Ed è ancor più inaccettabile che la risposta dell’amministrazione comunale sia tutta racchiusa in un intervento letto in Consiglio due giorni dopo, tra tecnicismi e rassicurazioni vaghe.

La città ha bisogno di fatti. Di risposte. Di azioni concrete, visibili, tempestive. Non di comunicati che sembrano scritti da ingegneri sotto anestesia. E ha bisogno di rispetto: per i commercianti, per i cittadini, per chi lavora, per chi domenica ha visto il proprio tempo, la propria fatica e i propri soldi dissolversi nell’oscurità.

Chi sbaglia paga. È una regola che vale per tutti. Tranne, a quanto pare, per la politica. Ma questa volta non si può archiviare tutto con una conferenza stampa e un post su Facebook. Questa volta serve molto di più. E serve subito. Prima che il blackout diventi una metafora fin troppo precisa di come è governata questa città.

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