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Air India AI171, l’ipotesi bird strike: lo stesso scenario della tragedia di Caselle

Motori spenti in volo: sotto accusa il bird strike, come a Torino nel 2023 nell'incidente della Freccia Tricolore che costò la vita ad una bambina di 5 anni

Air India AI171, l’ipotesi bird strike: lo stesso scenario della tragedia di Caselle

Un motore che si spegne in volo. Un altro che non ce la fa a tenere l’aereo in quota. E il cielo di Ahmedabad che si spalanca su una scia di fuoco. È bastato un secondo, forse un battito d’ali, a trasformare il volo Air India AI171 da speranza di vita a bollettino di guerra.

L’ipotesi sul tavolo degli investigatori è quella già tristemente nota in Italia per chi ha ancora impresse le immagini del rogo sull’asfalto di Caselle Torinese: bird strike, l’impatto fatale con uno o più volatili al momento del decollo.

La scena è quasi identica. Un Boeing 787-8 Dreamliner che lascia la pista, guadagna appena quota e poi piomba giù, ingovernabile. “Ho visto il personale di bordo e gli altri passeggeri morire davanti ai miei occhi”, ha raccontato Vishwashkumar Ramesh, 38 anni, unico superstite tra almeno 265 persone a bordo. Gli inglesi parlano addirittura di 300 morti, considerando anche chi si trovava nel complesso studentesco colpito in pieno da tonnellate di metallo e carburante.

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Il dato è che, allo stato, solo sei cadaveri sono stati riconsegnati alle famiglie. Gli altri attendono l’esame del DNA, brandelli recuperati tra i rottami e i resti del dormitorio. Tra loro una giovane coppia in viaggio di nozze, la cui ultima immagine è un sorriso su WhatsApp. E una famiglia intera, quella dei Joshi, finalmente riunita dopo sei anni di sacrifici a distanza: Prateek, radiologo nel Derbyshire; Komi, la moglie; Nakul, Pradyut e Miraya, tre bambini tra i cinque e gli otto anni. La loro foto, scattata sul volo, è diventata virale. Un’istantanea di gioia diventata simbolo di dolore.

L’aereo, in servizio da undici anni, aveva un equipaggio esperto. A guidarlo il comandante Sumeet Sabharwal, quasi trent’anni di carriera, a un passo dalla pensione. Le sue ultime parole registrate nella cabina, secondo indiscrezioni, sarebbero state legate proprio a un’anomalia ai motori. La scatola nera è stata recuperata intatta, è già sotto esame. Insieme a essa, sotto accusa è finita la pista di Ahmedabad, dove l’erba ai margini sarebbe cresciuta oltre i limiti regolamentari, attirando insetti e quindi stormi di uccelli. Una bomba innescata che attendeva solo il passaggio di un jet in fase di decollo.

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L’ipotesi di un bird strike multiplo si rafforza ogni ora. Se davvero entrambi i motori sono stati danneggiati dall’ingestione di volatili, non ci sarebbe stato margine per una virata o un atterraggio d’emergenza. Né quota né tempo. Lo stesso scenario che si verificò il 16 settembre 2023 con il velivolo Pony 4 delle Frecce Tricolori precipitato a Caselle: lì morì la piccola Laura Origliasso, travolta dal fuoco sull’auto della sua famiglia. Anche in quel caso, solo mesi dopo, un’analisi interna al motore confermò la presenza di tracce biologiche compatibili con un volatile. E il pilota stesso, prima di espellersi, disse via radio “ho fatto bird strike”.

Ora tutto dipende dalla scatola nera e dai test sull’aeroporto. Ma se l’ipotesi sarà confermata, sarà uno choc globale per l’aviazione civile. Perché un bird strike singolo può essere gestito. Un doppio impatto no. E un sistema aeroportuale che permette simili condizioni ambientali è un sistema che uccide.

Non mancano altre teorie: il mancato dispiegamento dei flap, un errore umano, una concatenazione di micro-anomalie culminata in un evento irreversibile. Ma sono tutte ipotesi secondarie, se l’impatto con i volatili sarà accertato. In quel caso, sarà la manutenzione la vera responsabile. Quella pista non era pronta a far decollare nessuno.

L'ultimo selfie prima del decollo della famiglia dei Joshi

Mentre Air India e il gruppo Tata annunciano risarcimenti milionari, mentre Boeing si ritira dal Paris Air Show e Modi arriva sul luogo della tragedia – proprio nel suo Gujarat – c’è chi piange davanti a un terminal e chi si salva per caso. Come Bhoomi Chauhan, 28 anni, che non ha preso l’aereo solo per dieci minuti di ritardo. “Mi hanno negato l’imbarco, ora so che mi hanno salvato la vita”, ha detto, ancora tremante. Sua madre ha parlato di “intervento divino”. Ma nessun dio dovrebbe avere l’ultima parola su una pista in cui l’erba è troppo alta.

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