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12 Giugno 2025 - 15:38
«La maggioranza di centrosinistra che governa Chivasso è “sotto attacco” da più fronti». Così, testuale, si legge nel comunicato stampa diffuso dal gruppo Sinistra Ecologista all’indomani dell’infuocata seduta del Consiglio comunale del 19 maggio. La scelta stessa di affidarsi a un documento destinato ai media, invece di convocare un’assemblea pubblica o un tavolo di lavoro con i protagonisti della protesta, rivela molto: più che parlare con la città, la compagine che sostiene il sindaco Claudio Castello sembra interessata a ribadire un’identità di vittime, perseguitate da trame oscure. Ed è singolare che a sentirsi accerchiati siano proprio coloro che siedono da tre anni nei posti di comando, mentre le vere vittime—i commercianti—restano senza voce dentro un’aula trasformata in fortezza.
Ripercorriamo i fatti. Il 19 maggio una cinquantina di titolari di bar, negozi e botteghe riempiono i banchi del pubblico, di solito desolatamente vuoti. La minoranza presenta due mozioni: una per attenuare l’aumento dell’11,8 % della TARI previsto per il 2025 usando i 2,1 milioni di avanzo libero, l’altra per sospendere l’estensione delle strisce blu in viale Vittorio Veneto. La maggioranza non discute: boccia e basta. Il capogruppo PD Stefano Mazzer scandisce il mantra «pagare tutti per pagare un po’ di meno», e agli animi già surriscaldati basta quell’allusione per far esplodere un coro di «Vergogna!». Il presidente del Consiglio, Alfonso Perfetto, minaccia lo sgombero definendo l’indignazione «tifo da stadio». Tante scuse, pochissimi argomenti.
A questo punto arriva il comunicato di Sinistra Ecologista, che prova a mettere ordine nel caos puntando il dito contro «attacchi plurimi» e «regie non sempre troppo chiare». Il colpevole non è più l’aumento delle bollette ma una fantomatica cabina di regia che complotterebbe contro la giunta. Il testo si fa scudo con ARERA, l’autorità che regola le tariffe, sostenendo che «il margine di manovra del Comune è piuttosto risicato». Peccato che il Piano Economico Finanziario dei rifiuti, i coefficienti di riparto fra utenze domestiche e non domestiche e la decisione di impiegare o meno l’avanzo di bilancio siano responsabilità diretta di Palazzo Santa Chiara. Se Torino, Asti, Novara e molti centri limitrofi impiegano una quota dell’avanzo per non scaricare la congiuntura sui contribuenti, Chivasso avrebbe potuto fare altrettanto. Non l’ha fatto: non per obbligo normativo ma per scelta politica.
Lo stesso comunicato rivendica con orgoglio i 370 mila euro di esenzioni ISEE, estese per la prima volta a tutti, non solo agli over 65. Atto di solidarietà? Sulla carta sì. Ma la domanda che martella la testa dei negozianti è semplice: chi paga quella generosità? La risposta sta negli scontrini che scendono e nei conti correnti che tremano. Il paradosso è servito: si chiede a esercenti già provati da inflazione, bollette e concorrenza on-line di coprire il costo di un welfare che altrove si finanzia tagliando sprechi, non alzando gabelle.
A ricordarlo ci pensa l’ex presidente Ascom Giovanni Campanino in un post Facebook diventato virale: «Se non paga un cittadino, poverino, non arriva a fine mese. Se non paga un commerciante, evade. Così le quote TARI insolute diventano quote evase». Una denuncia feroce contro lo stereotipo del negoziante evasore seriale, radicato in certa sinistra radical-chic convinta che chi possiede una Partita IVA viva stabilmente in vacanza alle Seychelles.
Il nodo più duro è il nuovo regolamento TARI approvato ad aprile, che inasprisce le sanzioni fino a prevedere la chiusura per novanta giorni dell’attività morosa oltre i 500 euro. Cinquecento, non cinquantamila. A Torino la soglia è cento volte più alta. A Chivasso bastano cinque banconote da cento—il margine di un singolo mese storto, di una fornitura pagata in ritardo, di un cantiere imprevisto davanti alla vetrina—perché cali il sipario. Nel comunicato, Sinistra Ecologista liquida la contestazione come «onda populista»; ma confonde populismo con sopravvivenza. Chiedere solleciti tempestivi, un piano di rateizzazione umana e un sistema di “TARI puntuale” che premi chi produce meno rifiuti non è demagogia: è equità.
Sul fronte parcheggi la sceneggiatura è identica. Il comunicato elenca 550 posti auto creati negli ultimi quattro anni e 1.060 stalli “bianchi” tra piazze e spiazzi periferici, portando il dato a paragone con centri analoghi. Ma nel cuore commerciale crescono solo i parchimetri: e il cliente medio, di fronte a ticket e strisce blu, prende l’auto e va nei mall di Settimo o Leinì dove la sosta è gratuita. Il sindaco Castello parla di «coefficiente di rotazione degli stalli», di città green, di mobilità sostenibile; ma una politica ecologica che ignora l’impatto sul tessuto economico rischia di trasformarsi in gentrificazione. Si può liberare il centro dal traffico solo se si offre un’alternativa: navette frequenti, cargo-bike per le consegne, zone di carico/scarico dedicate. Altrimenti si ottiene un centro più vuoto, non più verde.
Accusata di disinformazione, la minoranza cita numeri: le famiglie producono quasi il 70 % dei rifiuti e pagano il 60 % del servizio; le attività commerciali, che incidono per il 30 %, si vedono addossare il 40 % della spesa. Domanda legittima: dov’è la progressività? Nessuna risposta. Dal banco della giunta arriva la replica che tutto è deciso dai tecnici, non dai politici. Ma se chi è eletto non orienta la scelta tecnica, che ci sta a fare? A scaldare la sedia e a lamentare attacchi mediatici?
I toni vittimistici del comunicato raggiungono l’apice quando, per giustificare la “fase politica difficile”, Sinistra Ecologista tira in ballo le contaminazioni da PFAS riscontrate in due plessi scolastici. Un diversivo da manuale: si sposta il discorso su un fronte “alto”—la salute pubblica, il governo nazionale che non legifera, il vuoto normativo—e si dimentica che la rabbia dei commercianti nasce qui, ora, da cartelle esattoriali e parchimetri. Se la tua città cade a pezzi, non basta dire che è colpa di Roma o Bruxelles: serve amministrare, non lamentarsi.
Nel frattempo, l’osservatorio Confcommercio certifica in Piemonte un calo dei consumi reali del 15 % rispetto al 2019. L’inflazione ha eroso i margini; la transizione digitale ha spostato clienti on-line. Ogni saracinesca abbassata è un presidio sociale in meno, un lampione che si spegne, un deterrente in meno contro degrado e micro-criminalità. In una congiuntura così fragile, blindare l’aula consiliare dietro cavilli e moralismi, invece di ascoltare la categoria, è un suicidio politico.
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