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Cronaca

80 mila lavoratori minorenni in Italia nel 2024: l'Unicef lancia l'allarme

Nel 2024 oltre 80 mila adolescenti lavorano tra rischi e infortuni. I dati Unicef parlano chiaro: boom post Covid e poca sicurezza. Sei i morti in cinque anni

Allarme lavoro minorile

80 mila lavoratori minorenni in Italia nel 2024: l'Unicef lancia l'allarme

Oltre 80 mila ragazzi tra i 15 e i 17 anni sono impegnati in un’attività lavorativa in Italia. È il dato choc che arriva dal 3° Report dell’Unicef presentato oggi, 12 giugno, in occasione della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile. Il 2024 segna un record assoluto di adolescenti che lavorano, spesso senza protezioni adeguate, a volte nell’irregolarità, sempre più esposti a incidenti e violazioni dei diritti.

L’analisi, intitolata “Lavoro minorile in Italia: rischi, infortuni e sicurezza sui luoghi di lavoro”, fotografa un trend in allarmante crescita: erano 51.845 i minori tra i 15 e i 17 anni registrati nel 2021, diventati 69.601 nel 2022, 78.530 nel 2023 fino a toccare 80.991 quest’anno. Un’escalation che pone interrogativi profondi su come il nostro Paese gestisce il lavoro giovanile e sulle reali possibilità di controllo ed emersione del fenomeno.

Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Abruzzo sono le regioni dove il lavoro minorile ha l’incidenza più alta rispetto alla popolazione minorenne: rispettivamente con il 21,63%, 15,34% e 8,46%. Seguono Marche, Puglia e Sardegna. Si tratta per lo più di lavori stagionali, saltuari, nei settori della ristorazione, dell’edilizia, dell’agricoltura e delle attività commerciali. Ma la linea tra “esperienza formativa” e “sfruttamento” è spesso molto sottile.

E i numeri sugli infortuni raccontano una realtà ancora più dura. Nel quinquennio 2019-2023, le denunce presentate all’Inail relative a lavoratori fino a 19 anni sono state 330.864, di cui 204.369 riguardano addirittura minori sotto i 14 anni, e 126.495 adolescenti tra i 15 e i 19 anni. Solo nel 2023 le denunce sono state 83.057, con 50.860 casi sotto i 14 anni. Un dato che fa riflettere sull’ampiezza e la gravità del fenomeno.

Dal 2020 al 2023 le denunce di infortunio tra i 15 e i 17 anni sono triplicate: da 5.816 nel 2020 a 18.825 nel 2023. Significa che ogni giorno, in media, oltre 50 adolescenti si fanno male lavorando. Un numero che non può più essere ignorato. E se si guarda agli infortuni mortali, nel quinquennio 2019-2023 si contano 84 vittime nella fascia fino a 19 anni, di cui sei tra i 15 e i 17 anni. Sei storie di giovani vite spezzate in nome di un salario, spesso irregolare, quasi mai tutelato.

Il post-pandemia sembra aver accentuato il fenomeno. Dal 2019 al 2023 i giovani lavoratori entro i 19 anni sono aumentati del +35%: erano 310.400 nel 2021, saliti a 415.495 nel 2023. Una crescita rapida, che coinvolge più i maschi (258 mila) che le femmine (157 mila), e che denota una fragilità crescente tra le famiglie, spesso costrette a spingere i figli verso un lavoro precoce per contribuire al reddito domestico.

Ma le conseguenze sono molteplici: abbandono scolastico, esposizione al lavoro nero, mancanza di formazione sulla sicurezza e condizioni ambientali non idonee. Non sempre si tratta di lavoro illegale, ma è chiaro che il sistema di controllo e tutela non è all’altezza della situazione. L’Italia, pur avendo leggi chiare in materia, fa fatica a farle rispettare, specialmente in settori dove la flessibilità e l’informalità sono la norma.

Secondo Unicef, il fenomeno del lavoro minorile “non è un problema del passato, ma una questione attuale, diffusa, che coinvolge anche Paesi industrializzati”. E l’Italia, in questo scenario, non fa eccezione. Il report lancia un appello alle istituzioni: servono più ispezioni, formazione scolastica legata alla sicurezza, campagne informative dedicate ai genitori e ai datori di lavoro, ma anche percorsi di educazione civica e lavoro legale per i più giovani.

I sindacati chiedono da tempo un rafforzamento degli ispettorati e una mappatura nazionale delle forme di lavoro giovanile, per distinguere tra apprendistato sano e sfruttamento nascosto. Alcune regioni hanno iniziato a muoversi, ma senza un piano unitario nazionale il fenomeno rischia di restare sommerso.

Intanto, i dati ci parlano. Ci dicono che ogni giorno in Italia decine di minorenni si fanno male lavorando. Che migliaia di loro iniziano un impiego prima ancora di aver terminato gli studi. Che esiste un lavoro “giovane” che non fa rumore, ma che lascia segni profondi.

E proprio oggi, nella Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, è il momento di guardarli in faccia, quei numeri. Perché dietro ognuno di essi c’è un ragazzo. Un quindicenne che consegna pizze, un sedicenne in un magazzino, un diciassettenne su un’impalcatura. E troppo spesso, nessuno lo protegge.

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