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Infermieri sotto attacco, partono i corsi di autodifesa: “Non più vittime in silenzio”

In tutta Italia si moltiplicano le iniziative contro le aggressioni nei Pronto soccorso. Ma i professionisti chiedono sicurezza vera e riforme strutturali

Infermieri sotto attacco, partono i corsi di autodifesa

Infermieri sotto attacco, partono i corsi di autodifesa: “Non più vittime in silenzio” (foto di repertorio)

Non bastano più le parole di solidarietà. E neppure l’indignazione pubblica dopo ogni aggressione. Di fronte a una violenza ormai dilagante e sistemica negli ospedali italiani, infermieri e medici passano all’azione. Da nord a sud, partono i primi corsi di autodifesa, per imparare a proteggersi in corsia, affrontare verbalmente le crisi e, solo se necessario, difendersi fisicamente. Un gesto concreto in risposta a un’emergenza che nel 2024 ha già colpito oltre 22mila operatori sanitari, la maggior parte dei quali donne.

I corsi, lanciati dal sindacato Nursing Up, partono dalla Toscana (già attivi al Careggi, al Meyer e presso la ASL Toscana Centro) ma si stanno rapidamente diffondendo anche in altre regioni, da Monza a Ragusa, da Roma ad Ascoli Piceno. A promuoverli non sono solo i sindacati infermieristici, ma anche associazioni mediche e strutture ospedaliere. Le lezioni combinano tecniche di autodifesa fisica, come lo judo, con strumenti verbali e psicologici per calmare l’aggressore e prevenire l’escalation.

Ma dietro la proposta formativa, c’è la denuncia forte di un sistema al collasso. «Gli ospedali – afferma Antonio De Palma, presidente di Nursing Up – non possono essere un ring. Eppure oggi lo sono. Le aggressioni avvengono spesso di notte, quando mancano presìdi di polizia e le guardie giurate, pur presenti, non possono intervenire. La politica tace, noi ci muoviamo».

La cronaca recente ne è la dimostrazione: all’Ospedale Perrino di Brindisi, un infermiere è stato colpito al volto da un paziente psichiatrico. Fratture, trauma oculare, quindici giorni di prognosi. L’ennesimo episodio di una lunga catena. «Non addestriamo ad attaccare – chiarisce De Palma – ma formiamo i professionisti a non subire più in silenzio».

Anche i medici si organizzano. L’Anaao Assomed ricorda che 8 camici bianchi su 10 hanno subito almeno un’aggressione fisica o verbale. E mentre le iniziative di autodifesa si moltiplicano, la richiesta di fondo è unanime: serve prevenzione vera, strutturale, sistemica.

Su questo insiste anche il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli, che accoglie con favore i corsi, ma li definisce «un rimedio di emergenza, non una cura». La soluzione, sottolinea, deve passare attraverso una riforma profonda dell’accesso agli ospedali e un miglioramento concreto delle condizioni operative nei Pronto soccorso. Tra le proposte: l’introduzione di sistemi di riconoscimento facciale, metal detector all’ingresso e un utilizzo strategico dei fondi del PNRR per la sicurezza degli ambienti sanitari.

La miscela esplosiva che alimenta la violenza è nota: dolore, attesa, disinformazione, paura. Ma oggi non basta più capirne le cause. Oggi, chi lavora ogni giorno accanto ai pazienti chiede dignità, protezione e ascolto.

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