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Picchiati, minacciati, abbandonati: l’ASL TO4 scopre le guardie armate ma dimentica i lavoratori

I sindacati denunciano: promesse vuote, fondi spariti e personale lasciato solo nei reparti. La Regione annuncia, ma non paga. La Direzione temporeggia, mentre aumentano le aggressioni e cresce la paura. "Non vogliamo eroi. Vogliamo protezione".

Picchiati, minacciati, abbandonati: l’ASL TO4 scopre le guardie armate ma dimentica i lavoratori

foto archivio

«Basta mani addosso, basta urla, insulti, occhi pieni d’odio rivolti a chi ogni giorno cerca di curare e assistere. È finita l’epoca del silenzio. È finito il tempo dell’attesa. Ora servono fatti».

Con queste parole Nursind, UIL FPL, FP CGIL e CISL FP alzano la voce, unite, e lo fanno dopo l’ennesimo incontro – l’ennesimo, appunto – con la Direzione dell’ASL TO4 e il presidente della Conferenza dei sindaci Matteo Chiantore, per parlare di un fenomeno che non è più una serie di episodi, ma una deriva quotidiana: le aggressioni ai danni del personale sanitario e socio-sanitario.

Questa volta l’incontro si è tenuto a Chivasso, presso la sede della Direzione Generale, alla presenza del direttore generale Luigi Vercellino, del direttore amministrativo Michele Colasanto, dei rappresentanti del Ser.D., della Salute Mentale, del Servizio Sociale, della Direzione Medica dei presidi di Ivrea e Cuorgnè, del Distretto, della Prevenzione e del Consorzio In.Re.Te.

«Siamo consapevoli che si tratta di una questione nazionale, ma l’ASL TO4 deve smettere di trincerarsi dietro questa scusa. Le botte arrivano qui, ora, nei nostri reparti».

Il tavolo tecnico sulle aggressioni, nato nel 2023 a Ivrea, doveva essere la risposta. Ma a distanza di oltre un anno, la realtà è che gli operatori sono ancora esposti, vulnerabili, soli. Il Pronto Soccorso è stato il punto di partenza.

Ma oggi si chiede di più, molto di più.

«Estendiamo le misure a tutte le strutture del territorio: reparti, cure domiciliari, ambulatori, distretti, ovunque il personale sia lasciato senza tutela».

Già nel marzo 2024, i sindacati avevano chiesto misure concrete: guardie giurate armate (oggi finalmente in fase di attuazione), più telecamere, controllo accessi, via i nomi dalle divise, protocolli operativi con le forze dell’ordine. Ma soprattutto, «basta rincorrere i problemi, serve prevenzione».

La verità è che serve un documento ufficiale di analisi dei rischi, ma non è mai stato presentato. Serve un tavolo permanente con i rappresentanti per la sicurezza. È stato promesso. Ma tutto tace.

foto archivio

E intanto continuano le aggressioni, quelle visibili e quelle silenziose. Quelle fisiche e quelle verbali. Quelle che non finiscono sui giornali. «L’ASL si riempie la bocca di parole come sicurezza e attenzione, ma poi lascia il personale in balia di se stesso».

A fare da contrappunto, e da pungolo, c’è la posizione netta di Salvatore Orifici, segretario territoriale della FSI-USAE, che firma un documento parallelo e indipendente.

Rivendica un primo risultato concreto: «Finalmente è stata accolta la nostra richiesta storica. Le guardie giurate armate arriveranno. E non solo nei grandi ospedali, ma anche nei distretti, nel Ser.D di Rivarolo, nelle sedi più isolate, dove la paura si insinua ogni sera».

Orifici elenca i dati, le sedi, le scelte già deliberate: Chivasso, Ivrea, Ciriè e Cuorgnè con vigilanza 24 ore su 24, il P.O. di Lanzo con vigilanza fiduciaria h12, 30 sedi allarmate con ispezioni notturne armate, 33 sedi aziendali per apertura e chiusura. Il tutto formalizzato nella delibera n. 380 del 30 aprile 2025, già pubblicata sull’albo pretorio, con cui l’ASL ha avviato una gara europea a procedura aperta, come previsto dal nuovo codice degli appalti.

Ma non basta. «Non ci fermeremo. Serve un accordo con le forze dell’ordine, come prevede l’articolo 7 della Legge 113 del 2020. Ogni struttura sanitaria deve avere un protocollo operativo, e quel protocollo deve prevedere anche il ruolo delle guardie giurate».

E poi propone qualcosa di nuovo, che viene già sperimentato in Lombardia: l’OSS di pre-triage, un operatore di accoglienza nei Pronto Soccorso, capace di smorzare la tensione, informare i pazienti e i familiari, facilitare il passaggio delle informazioni tra caregiver, infermieri e pazienti. «Perché la rabbia spesso nasce dalla disinformazione, dalla paura. Ma con il dialogo si disinnesca anche l’aggressività più violenta».

Il progetto fa parte di un percorso più ampio di umanizzazione delle cure in emergenza-urgenza, per ridurre le tensioni fin dall’ingresso dei pazienti nei percorsi di triage. Perché prima della terapia, serve relazione.

I sindacati però, da Giuseppe Summa di Nursind a Luciano Perno della FP CGIL, da Gianlivio Lembo e Stefano Vittone della UIL FPL fino a Ermenegildo Zerbinati della CISL FP, restano fermi su un punto: «Dove sono i fondi promessi dall’Assessore regionale Riboldi? Dove sono i soldi per la sicurezza?» Non è solo una domanda.

È un atto d’accusa. Perché quei fondi erano stati annunciati. Erano attesi.

E invece niente. «Il personale continua a rischiare ogni giorno, ogni notte, mentre da Torino arrivano solo rassicurazioni senza copertura». Per questo i sindacati annunciano l’invio di una formale segnalazione alle autorità competenti. L’ennesima.

Va detto che secondo quanto riferito da Orifici, l’Assessore Riboldi avrebbe espresso sensibilità e apertura sul tema, ma a oggi non risulta alcuna copertura economica reale.

Mentre l’ASL parla di tavoli e buone intenzioni, mentre la politica regionale promette e si dimentica, la realtà nei reparti è fatta di vetri infranti, urla, spinte, occhi gonfi e mani tremanti.

C’è chi piange nel bagno. Chi non dorme prima del turno. Chi ha imparato a scrivere il referto con la schiena contro il muro.

Chi indossa una divisa e sente che quella stoffa non basta più.

«Non vogliamo eroi. Vogliamo protezione», dicono. Ma se chi ha il dovere di garantirla si volta dall’altra parte, allora che almeno non chieda silenzio.

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