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04 Giugno 2025 - 23:11
Disastro sanità
Il 15 maggio 2025, in seduta pubblica, la Sezione regionale di controllo per il Piemonte ha approvato un atto corposo, accompagnato da un referto tecnico di oltre duecento pagine, che disseziona la gestione della sanità piemontese nel 2022, con una proiezione fino al 2025. Non un semplice documento contabile, ma una radiografia impietosa di un sistema in affanno. Attorno al tavolo sedevano dieci magistrati: il presidente Antonio Attanasio, i primi referendari Laura Alesiani, Diego Maria Poggi e Massimo Bellin (relatore), e i referendari Paolo Marta, Maria Di Vita, Massimiliano Carnia, Elisa Moro, Lorena Chiacchierini e Gabriella De Stefano.
È una fotografia asciutta, istituzionale, ma anche disturbante. Perché questo referto – trasmesso alla Regione Piemonte, alle aziende sanitarie, e pubblicato nei registri ufficiali – non si limita a mettere in fila numeri e tabelle: entra nel merito della tenuta, o meglio, della fatica strutturale del sistema sanitario pubblico. E lo fa con parole pesate, ma senza sconti. “Carenze strutturali, difficoltà organizzative, sfide complesse”, scrivono i magistrati. Il messaggio è chiaro: la sanità piemontese è al limite, e il tempo per correggere la rotta si sta esaurendo.
Nel mirino finiscono molti dei punti chiave della sanità regionale: la gestione dei posti letto, la mancanza cronica di pediatri, il ricorso smodato al personale a gettone, le liste d’attesa sempre più lunghe, il mancato recupero delle prestazioni sospese durante il Covid, la paralisi delle Case di Comunità previste dal PNRR. Un elenco lungo, preciso, documentato. Nessun attacco polemico: solo rigore, citazioni puntuali e dati inconfutabili.
Il documento non risparmia nessuno. Né chi amministra, né chi ha raccontato questi anni con toni trionfalistici. Eppure, a leggere il testo, c’è ben poco da festeggiare. La Città della Salute e della Scienza di Torino è esclusa dall’analisi – perché soggetta a un autonomo piano di rientro – ma tutto il resto è scandagliato con attenzione.
Primo punto: i posti letto ospedalieri. In calo, dicono i giudici, “nonostante il contestuale calo demografico”. Eppure il mantra politico, nel post-pandemia, era stato uno: resilienza. La Corte replica con i numeri. “La riduzione dei posti letto è parzialmente compensata dall’apporto delle strutture accreditate. Tuttavia, permane una prevalenza di posti letto pubblici, segno di una sanità ancora fortemente ancorata al sistema pubblico”. Tradotto: resiste il modello pubblico, ma resta sempre più solo a reggere il colpo.
Poi c’è la questione pediatri, dove la situazione viene definita “critica”. In molte zone, soprattutto nelle aree interne e montane, i massimali nazionali sono ampiamente superati. Bambini senza riferimento, famiglie in difficoltà. Un vuoto drammatico, che nessuno sembra in grado di colmare.
Nel frattempo, il sistema regge come può grazie ai “gettonisti”: medici a ore, ingaggiati da cooperative esterne, con costi fuori controllo. Nel 2020 il Piemonte spendeva 21 milioni per coprire questi incarichi. Nel 2022, la cifra è più che raddoppiata: oltre 49 milioni di euro. E la qualità? Si fa quel che si può. “La carenza di personale ha spinto le aziende a ricorrere a contratti di servizio e all’impiego di medici gettonisti, con un conseguente aumento dei costi e una minore capacità di controllo sulla qualità delle prestazioni”, annotano i magistrati. Un sistema che fa acqua da tutte le parti.
Altro tasto dolente: il recupero delle prestazioni sanitarie saltate durante la pandemia. Il piano c’era, ma è rimasto perlopiù sulla carta. “Solo due aziende hanno superato i volumi di ricovero del 2019, e nessuna ha raggiunto i livelli pre-pandemici nell’attività ambulatoriale”. Ma il vero allarme riguarda le liste d’attesa, dove i tempi si sono ulteriormente allungati. “In molti casi peggiorati rispetto al 2019”. Visite urgenti e differibili rimandate, rinviate, impossibili da prenotare.
Il referto affronta anche il tema delle attività libero-professionali intramoenia. Teoricamente dovrebbero avvenire dentro le strutture pubbliche. In pratica, spesso gli spazi non ci sono. E allora si esternalizza. Con quali esiti? Negativi. Il caso più emblematico è quello dell’Asl CN2, dove la gestione esterna della libera professione ha prodotto una perdita di oltre 160 mila euro in tre anni. Eppure, la Corte concede un riconoscimento: “è stato rispettato il principio della prevalenza delle prestazioni istituzionali rispetto a quelle a pagamento”. Ma fino a quando sarà sostenibile?
E infine, il capitolo PNRR. La Missione 6 “Salute” avrebbe dovuto cambiare tutto. Ma in Piemonte, scrive la Corte, non è cambiato quasi nulla. “Le risorse erogate sono contenute e solo tre aziende hanno attivato le Case di Comunità”. Colpa di “ostacoli burocratici e difficoltà organizzative”, spiegano i magistrati. Intanto, sul territorio, la medicina di prossimità resta un titolo di slide. I pronto soccorso esplodono. I medici di base vanno in pensione. E nessuno arriva.
Il giudizio finale? È un monito. “La sanità regionale si trova di fronte a un bivio”. O si continua a navigare a vista, tamponando con soluzioni d’emergenza, oppure si avvia finalmente una vera riforma. “Il referto rappresenta anche un’opportunità: quella di valorizzare le risorse disponibili e affrontare con decisione le criticità emerse”. Ma non è chiaro se chi è al timone oggi abbia davvero la forza – o il coraggio – per farlo.
Una cosa però è certa: questa radiografia non si può ignorare. Non è un editoriale politico, non è l’opinione di un sindacato o di un comitato di protesta. È la voce della Corte dei conti. È un documento firmato da dieci magistrati. Ed è la stessa voce che ogni giorno risuona nelle corsie, negli ambulatori, nelle segreterie delle Asl. Dove la sanità pubblica si arrabatta, insegue, inciampa. Dove si aspetta. Dove si spera. Dove si rinuncia. E forse, dove si comincia a perdere.
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