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02 Giugno 2025 - 09:43
Harvard ancora in vetta, ma gli Stati Uniti perdono terreno nelle classifiche universitarie mondiali
Per il quattordicesimo anno consecutivo, Harvard è in vetta al mondo accademico. Una costanza che rasenta l’immortalità, almeno a giudicare dai dati del Center for World University Rankings (CWUR) 2025, che certifica nuovamente la leadership dell’ateneo di Cambridge, Massachusetts. Ma mentre la prima posizione resta saldamente in mano americana, lo scenario complessivo racconta una storia più sfumata, fatta di cedimenti e assestamenti, avanzate silenziose e riposizionamenti strategici. Perché se da un lato gli Stati Uniti ancora dominano il vertice – con otto università nelle prime dieci posizioni – dall’altro mostrano segni inequivocabili di declino sistemico.
La CWUR 2025 non premia la bandiera, ma la performance. E quest’anno a brillare non è solo l’élite americana, ma anche le grandi istituzioni europee che, a dispetto delle difficoltà economiche e delle incertezze post-Brexit, si impongono come alternative credibili e solide. Oxford e Cambridge – rispettivamente al quinto e quarto posto – non sono solo “grandi classici” del sapere, ma si confermano motori di eccellenza pubblica, capaci di reggere il confronto con i colossi privati d’oltreoceano. Una vittoria silenziosa, ma significativa, per chi continua a credere che l’investimento nella conoscenza debba restare universale e accessibile.
Ma torniamo agli Stati Uniti. I numeri non mentono: su 314 università americane presenti in classifica, 264 hanno perso terreno rispetto al 2024. Solo 40 hanno migliorato la loro posizione. Un saldo negativo che pesa come un macigno sul mito dell’infallibilità accademica americana. I motivi? Diversi, ma tutti riconducibili a un concetto chiave: perdita di slancio. Dopo anni di crescita vertiginosa, finanziamenti massicci e politiche aggressive di attrazione internazionale, le università USA sembrano oggi soffrire di una sindrome da “saturazione strutturale”: competizione interna feroce, aumento dei costi di iscrizione, dibattiti infuocati su libertà accademica e politiche di inclusione, oltre a un contesto geopolitico sempre più instabile che rende meno appetibile il “sogno americano” per molti studenti internazionali.
In questo quadro, il balzo delle università europee non è solo un effetto collaterale, ma una risposta diretta. Non è un caso che istituzioni come l’ETH di Zurigo, la Sorbona o le università scandinave siano in ascesa costante. In Europa, il modello è più sobrio, ma non per questo meno performante. Si punta su ricerca pubblica, interconnessione tra atenei, programmi Erasmus e mobilità internazionale, con un costo spesso molto più accessibile rispetto alle rette vertiginose degli USA.
Classifica Università del mondo
E l’Italia? Qui il panorama è ancora più critico. La CWUR 2025 certifica che solo il 20% degli atenei italiani ha migliorato la propria posizione. Il dato è più di un campanello d’allarme: è la spia di un sistema che arranca, afflitto da finanziamenti insufficienti, carriere accademiche bloccate, burocrazia opprimente e mancanza di visione strategica. Alcune eccellenze resistono – come la Scuola Normale di Pisa, il Politecnico di Milano o l’Università di Bologna – ma non basta. Il resto del sistema galleggia tra difficoltà strutturali e tentativi isolati di innovazione.
Nel confronto globale, l’università italiana paga lo scotto di essere rimasta ancorata a logiche vecchie, incapace di valorizzare pienamente i propri talenti e trattenere i migliori. Eppure le potenzialità ci sono, come dimostrano i tanti cervelli in fuga che vanno a rinforzare le fila delle grandi università straniere. Investire nella formazione non è un esercizio retorico, ma una necessità geopolitica, soprattutto in un’epoca in cui la conoscenza è la principale leva di potere.
Dunque, se da un lato Harvard resta un faro indiscusso, dall’altro l’intero scenario accademico mondiale si fa più dinamico, instabile e competitivo. La classifica CWUR 2025 non è solo un elenco, ma uno specchio delle trasformazioni profonde che attraversano la società globale, dove la sfida non è solo tra università, ma tra modelli culturali, economici e politici. La domanda che sorge spontanea è: quanto ancora reggerà il primato americano? E soprattutto: chi saprà cogliere davvero l’occasione di questo lento ma costante ridisegno degli equilibri?
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