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Cronaca
31 Maggio 2025 - 16:42
foto archivio
Due anni fa un ragazzo di 15 anni venne portato in pronto soccorso all’ospedale San Luigi di Orbassano, in preda a una crisi d’astinenza. Non da droghe, alcol o psicofarmaci, ma dal suo smartphone. A scatenare il crollo emotivo fu un gesto dei genitori, esasperati: gli avevano tolto il cellulare. Il ragazzo andò completamente in escandescenza, tanto da richiedere il ricovero in emergenza e la somministrazione di forti ansiolitici.
A riportare il caso, durante un recente dibattito a Torino, è stato il professor Gianluca Rosso, medico chirurgo, psichiatra e professore associato presso il Dipartimento di neuroscienze dell’Università di Torino. Rosso era di guardia proprio quel giorno al San Luigi, quando il ragazzo venne condotto in accettazione dai genitori.
Il racconto, confermato da fonti dell’ospedale, descrive un episodio ormai passato ma tutt’altro che superato nella sua attualità. Il ragazzo presentava una sintomatologia del tutto simile a quella di una classica crisi di astinenza da sostanze stupefacenti: tremori, pianti, agitazione, incapacità di calmarsi. Il suo stato fu definito di agitazione psicomotoria severa e gestito con dosi importanti di ansiolitici, somministrati sia per via intramuscolare che endovenosa.
Superata la fase acuta, fu dimesso e rimandato a casa. Non fu necessario il ricovero, perché – come ha spiegato lo stesso Rosso – “il ricovero può essere indicato solo per condizioni psichiatriche associate alla dipendenza, mentre la dipendenza in sé viene presa in carico dai Ser.D., i servizi pubblici per le dipendenze patologiche”.
“La privazione dello smartphone ha innescato nel ragazzo una vera e propria reazione da astinenza”, ha raccontato Rosso. Un comportamento, a suo dire, sempre più frequente tra i giovani, per i quali il telefono non è solo un mezzo di comunicazione, ma un’estensione identitaria e affettiva.
“L’utilizzo dello smartphone crea un legame con l’oggetto molto simile a quello ottenuto da alcol, sigarette o droghe – ha spiegato lo psichiatra – perché tutte queste esperienze portano a uno stimolo continuo del sistema dopaminergico. Il cervello si abitua a quel flusso e quando viene meno, va in crisi”.
Un caso che scuote, anche a distanza di tempo, perché rappresenta una fotografia fedele di un disagio sempre più diffuso. Ragazzi che vivono incollati allo schermo, genitori che non sanno più come gestire l’ossessione tecnologica, famiglie intere che si interrogano su cosa sia diventato “normale” e cosa invece richieda l’intervento di uno specialista.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, oltre il 30% degli adolescenti italiani presenta comportamenti a rischio legati all’uso di internet e dispositivi mobili. Crisi d’ansia, insonnia, isolamento, dipendenza, disturbi dell’umore. Eppure, nella maggior parte dei casi, questi segnali vengono sottovalutati o confusi con normali comportamenti adolescenziali.
L’episodio di Orbassano diventa così emblematico. Perché non si tratta più solo di educare all’uso consapevole della tecnologia, ma di riconoscere e affrontare una nuova forma di dipendenza, che non passa per le strade dello spaccio ma per i cavi della rete, che non ha odore o colore ma si insinua nella psiche con la stessa forza di una sostanza.
Un ragazzo in crisi. Due genitori impotenti. Un ospedale che interviene. E un messaggio che oggi, a distanza di due anni, risuona più forte che mai.
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