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29 Maggio 2025 - 11:00
Le carceri italiane soffocano: celle troppo piccole, farmaci a pioggia e suicidi in aumento
Non è un titolo retorico, è una diagnosi cruda. Il nuovo rapporto di Antigone, intitolato “Senza respiro”, documenta nero su bianco ciò che da anni avviene nel silenzio polveroso degli istituti penitenziari italiani: celle indegne, affollamento cronico, malati dimenticati e detenuti trattati come scarti sociali. Il dossier 2025 è un grido che sale da dietro le sbarre di 95 istituti visitati: in 30 di questi le celle non raggiungono nemmeno i 3 metri quadri calpestabili per persona. Non si tratta di casi limite, ma di spazi reali dove uomini e donne vivono, dormono, mangiano, si ammalano e a volte muoiono.
Perché morire in carcere, oggi, è più probabile che essere reinseriti. Il 2024 ha contato 91 suicidi, il dato più alto di sempre, con un aumento dell’autolesionismo del 4,1% rispetto al 2023. E se il dato non basta a restituire l’entità del disastro, si pensi che oltre il 44% dei detenuti assume sedativi o ipnotici, mentre il 20% è in terapia con antidepressivi, antipsicotici o stabilizzatori dell’umore. Una popolazione prigioniera non solo delle sbarre ma del silenzio farmacologico, dove la “cura” sembra coincidere con la sedazione di massa.
Oggi i detenuti in Italia sono oltre 62mila, in lieve calo rispetto all’anno precedente. Ma nel frattempo la capienza effettiva degli istituti è diminuita di 900 posti, a causa di celle inagibili o strutture in ristrutturazione. Il risultato è un tasso di affollamento reale del 133%, con 58 istituti sopra il 150%. I peggiori? San Vittore a Milano, seguito da Foggia e Lucca. Ma anche i nuovi padiglioni prefabbricati, pensati come soluzione d’emergenza, nascono già vecchi: 5 metri quadri per detenuto, progettati per il sovraffollamento.
In 12 strutture manca il riscaldamento. In 43 non c’è acqua calda. In 30 i detenuti vivono sotto la soglia minima di spazio personale prevista dalla Corte Europea dei Diritti Umani. In sostanza, vivono fuori legge. E quando non si vive, si protesta. Sono stati 1.500 gli episodi di protesta collettiva non violenta nel 2024, cinque solo tra il 12 e il 30 aprile, da quando è entrato in vigore il nuovo decreto sicurezza. Manifestazioni senza clamore, senza violenza, ma con lo stesso urlo muto: non si può sopravvivere in condizioni disumane.
Tracollo carceri italiane
Il paradosso? La maggior parte dei detenuti non è nemmeno colpevole in via definitiva. Al 31 dicembre 2024, il 26,5% era in attesa di giudizio, formalmente ancora presunto innocente. E tra questi, 9.475 attendono il primo processo. La custodia cautelare continua ad essere la misura più usata (28,9%), nonostante nel 12% dei casi la persona non venga poi condannata. Uno su otto, quindi, è stato chiuso in una cella per niente. A pagare il prezzo più alto sono gli stranieri, che rappresentano il 31,6% della popolazione carceraria, ma solo lo 0,4% dell’intera popolazione italiana.
Il sistema minorile non va meglio. Anzi, esplode. 611 giovani detenuti nei 17 Istituti Penali per Minorenni, il 54% in più rispetto a due anni fa. Metà sono minori stranieri non accompagnati. E nove strutture su diciassette sono già sovraffollate: record negativo al Beccaria di Milano e a Cagliari, con tassi del 150%. A peggiorare le cose, il trasferimento nei penitenziari per adulti di 189 ultra-diciottenni. Un passaggio che spesso coincide con un crollo psichico e sociale irreversibile.
E le donne? 2.700 le detenute attualmente in Italia, l’80% rinchiuse in sezioni femminili dentro carceri maschili. Undici bambini vivono in carcere con le loro madri, di cui nove sono straniere. Una cifra piccola, ma simbolicamente gigantesca: una democrazia che cresce bambini in cella non è una democrazia in salute.
Sul fronte Lgbt+ i numeri parlano di 66 uomini detenuti che hanno dichiarato la propria omosessualità, metà dei quali in “sezioni protette promiscue”. Le donne trans sono 70, tutte rinchiuse in carceri maschili, spesso in condizioni di sicurezza e dignità non garantite.
Ma la situazione non esplode solo per questioni di spazio o fragilità. È l’intero modello carcerario a essere collassato. Oggi in Italia ci sono 963 educatori per 62mila detenuti: uno ogni 64. I direttori mancanti sono 96. I mediatori culturali sono 1,7 ogni cento stranieri. E meno di un detenuto su tre lavora. Di questi, solo lo 0,4% è impiegato da aziende private: 249 persone. Lavorare non è solo reddito: è dignità, è futuro, è reinserimento. Ma qui non si lavora, non si studia, non si cura. Si sopravvive.
La fotografia scattata da Antigone non è un’inchiesta ideologica, è un termometro costituzionale. E quello che segna è febbre alta. In una Repubblica che, all’articolo 27, garantisce che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e che devono tendere alla rieducazione del condannato, la realtà dei fatti dice il contrario.
Le celle da meno di 3 metri quadri. I corpi imbottiti di psicofarmaci. I suicidi record. I bambini in cella. Gli innocenti in attesa. Il lavoro che non c’è. I detenuti transgender invisibili. Le donne recluse in sezioni maschili. Il carcere che punisce prima di giudicare, che nasconde invece di curare, che cancella invece di restituire.
Senza respiro, appunto. Ma il fiato che manca non è solo quello dei detenuti. È il fiato della democrazia che sta smettendo di respirare.
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