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BigMama illumina il Pride di Torino: corpi, diritti e voce collettiva

Un’edizione potente, con un messaggio chiaro: non si tratta di una festa. È visibilità, è resistenza, è richiesta politica. E il diritto negato ai figli delle famiglie arcobaleno resta la ferita aperta del presente

BigMama illumina il Pride

BigMama illumina il Pride di Torino: corpi, diritti e voce collettiva

Il Pride 2025 di Torino si prepara a invadere le strade con l’energia di chi non chiede permesso, ma presenza. Il 7 giugno, migliaia di persone sfileranno dietro uno slogan che è tutto fuorché neutro: “Senza esclusione di corpi”. Una dichiarazione d’intenti chiara, viscerale, politica. Perché i corpi raccontano storie, subiscono discriminazioni, rivendicano spazio. E quest’anno, la celebrazione è anche atto di resistenza.

A dare voce a questo spirito sarà BigMama, rapper e cantautrice che non ha mai avuto paura di mostrarsi per ciò che è. Il suo messaggio, lanciato in un video proiettato durante la conferenza stampa, è più di una dedica, è un appello: “Festeggiamo insieme, ricordiamoci di lottare per i nostri diritti: noi valiamo tantissimo”. Ecco, celebrare il Pride non è esibizione, ma affermazione di esistenza. Di fronte a un’Italia che ancora oggi, nel 2025, nega pari diritti a migliaia di persone LGBTQIA+, c’è chi risponde con l’arte, la musica, la visibilità.

Il manifesto ufficiale del Pride è un pugno dritto allo sterno. Firmato dall’illustratore torinese Marco Amerigo Latagliata, è una galassia di corpi non conformi, sfrontati, vivi. Corpi che per troppo tempo sono stati messi ai margini, disegnati male, nascosti dietro l’eufemismo dell’imbarazzo. “Ho voluto mostrare corpi la cui esistenza è stata negata", ha spiegato Latagliata, "corpi che non si vergognano, che sono mostri nel senso più bello: meraviglie della natura umana*”.

Ma dietro l’arte e la festa c’è il cuore politico di una battaglia aperta. Luca Minici, coordinatore del Torino Pride, non ha usato mezze parole. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha bloccato le iscrizioni anagrafiche dei figli di due madri, l’appello ai sindaci italiani è diretto: “Riprendete le iscrizioni. È un atto di giustizia”. Un diritto negato a metà, perché le coppie di padri continuano a restare fuori da qualsiasi riconoscimento. Il principio dell’uguaglianza, nel 2025, è ancora un miraggio legislativo.

Un passaggio cruciale è arrivato anche dall’assessore alle politiche sociali Jacopo Rosatelli, che ha annunciato il rinnovo triennale della convenzione tra Comune e Torino Pride. Ma il suo intervento è stato tutt’altro che celebrativo: “Troppi diritti sono ancora negati”, ha dichiarato, citando il divieto del Pride in Ungheria come segnale di una regressione pericolosa anche dentro l’Unione Europea. Per questo, ha ribadito, serve un Pride che non dimentichi mai di essere politico.

Ed è proprio in questa direzione che il Torino Pride 2025 compie un passo in avanti deciso, coinvolgendo mondi professionali spesso rimasti spettatori. L’Ordine dei Giornalisti del Piemonte parteciperà per la prima volta, e con lui anche l’Ordine dei Medici, degli Psicologi e delle Professioni Sanitarie. La presenza di medici in camice tra le bandiere arcobaleno non è una provocazione, ma una presa di posizione civile: chi si prende cura della salute mentale e fisica delle persone deve essere in prima linea nel difendere i loro diritti.

In questo senso, la parata del 7 giugno non è una sfilata, ma un termometro sociale, che misura quanto spazio c’è — o non c’è — per le soggettività LGBTQIA+ in una società che oscilla continuamente tra aperture timide e rigurgiti reazionari. Non è un caso che molte delle rivendicazioni di quest’anno ruotino attorno a temi concreti: accesso alla genitorialità, autodeterminazione dei corpi, diritto alla salute, visibilità trans, riconoscimento giuridico delle famiglie arcobaleno.

Cosa significa davvero celebrare il Pride? Significa non dimenticare le violenze, i bullismi, le esclusioni. Significa dare voce a chi non ce l’ha, a chi lotta per un documento che rifletta la propria identità, a chi cresce in una scuola che non riconosce la sua famiglia, a chi è costretto a nascondersi in ufficio, a chi vive nei centri per richiedenti asilo con l’angoscia del rifiuto.

Significa anche rifiutare la retorica rassicurante dell’arcobaleno come decorazione. Il Pride non è un evento folkloristico da “colorare” una volta all’anno. È un fronte di lotta continua. È un’assemblea a cielo aperto in cui si rivendica con fierezza ciò che è ancora negato: la piena cittadinanza.

A Torino, il 7 giugno, questa cittadinanza sarà visibile in ogni passo della parata, in ogni cartello, in ogni bacio, in ogni slogan. Sarà nei cori, nelle bandiere, nei corpi. E quei corpi non chiederanno permesso. Chiederanno spazio. E lo prenderanno.

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