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Cinghiali a Ivrea, l'incubo degli agricoltori: ettari di mais mangiati sotto terra prima ancora di crescere

Coltivatori esasperati tra piogge, risemine e incursioni notturne: servono interventi concreti per fermare la fauna selvatica

Cinghiali a Ivrea

Cinghiali a Ivrea, l'incubo degli agricoltori: ettari di mais mangiati sotto terra prima ancora di crescere (foto di repertorio)

Succede dopo ogni pioggia e dopo ogni gesto paziente di chi lavora la terra. Succede appena il terreno si ammorbidisce, le temperature si alzano e la semina è avvenuta. Arrivano loro: cinghiali affamati, precisi, organizzati. Un branco, talvolta più di uno, che si muove come un piccolo esercito: ogni animale segue una fila di semina, fiuta, scalza con il grifo la terra ancora smossa, fresca, e risucchia i semi, come fosse un pasto servito in un vassoio. Le foto scattate nei campi intorno a Ivrea parlano da sole: chilometri di solchi svuotati, linee dritte come se qualcuno ci avesse passato un bisturi. In realtà è la natura selvatica che si scontra con l’agricoltura, ogni anno di più, ogni anno più violentemente.

La primavera 2025, già segnata da piogge persistenti che hanno costretto molti agricoltori a riseminare con costi raddoppiati, si rivela un disastro annunciato. “Basta una notte – racconta un produttore locale – e perdi un intero ettaro”. E quando si parla di ettari, non si parla solo di terra: seminare un ettaro di mais costa tra i 1.200 e i 1.400 euro solo per il seme. Poi ci sono i fertilizzanti, la preparazione del terreno, la manodopera, la semina vera e propria, l’irrigazione. Se sei costretto a rifare tutto, non solo perdi tempo, ma ti ritrovi a seminare fuori finestra e quindi a ottenere, mesi dopo, un raccolto più scarso, meno remunerativo, meno stabile.

I cinghiali non strappano le piantine come succedeva in passato: agiscono prima, appena dopo la semina. Hanno imparato. Conoscono l’odore dei semi, il disegno dei solchi. E, avanzando in gruppo, lavorano i campi come una zappa viva. “Non è solo un danno economico – prosegue l’agricoltore – è una frustrazione profonda. Hai lavorato per settimane, sei stato attento, hai rischiato con il meteo, hai investito. Poi una notte ti svegli e trovi il campo come se non fosse mai esistito”.

Il problema è cronico e diffuso, ma spesso ignorato da chi dovrebbe affrontarlo con strumenti strutturali. Gli indennizzi pubblici, quando arrivano, sono parziali, lenti, farraginosi. E le misure di contenimento della fauna selvatica si scontrano con normative rigide, competenze frammentate e un dibattito ideologico che divide più che unire. Intanto, sul campo, chi semina rischia di non raccogliere nulla. E chi investe, rischia di non tornare più a investire.

Ivrea è solo un esempio, ma la dinamica è identica in tutto il Piemonte, nella pianura padana, in mezza Italia. I cinghiali non conoscono confini, né recinzioni standard: spesso servirebbero barriere elettrificate costose e impegnative da mantenere, a fronte di un’agricoltura già spremuta da costi in crescita e margini in calo.

Dietro ogni foto ci sono ore di lavoro cancellate, notte insonni, conti che non tornano. Ma anche un appello: servono risposte concrete, urgenti, coordinate. E serve, soprattutto, che chi non ha mai messo piede in un campo capisca che un seme mangiato da un cinghiale non è solo una perdita vegetale, è una perdita economica, sociale, psicologica.

Chi fosse interessato ad approfondire il fenomeno o a raccontare episodi simili può mettersi in contatto. Perché da queste immagini e da queste voci nasce il quadro di una crisi agricola che non può più essere ignorata.

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