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12 Maggio 2025 - 10:24
Cinghiali fuori controllo: nel Canavese danni per oltre 600mila euro, ma gli abbattimenti restano al palo
In Piemonte, coltivare la terra è diventato un rischio d’impresa non per colpa del clima o dei mercati, ma per colpa dei cinghiali. E nel Torinese, l’anno agricolo 2023 si è chiuso con un conto salatissimo: 605.410 euro di danni accertati e liquidati per coltivazioni devastate, recinzioni divelte e perizie obbligatorie. E il 2024 non promette meglio: altri 570.642 euro di danni riconosciuti ma non ancora rimborsati, mentre le superfici devastate ammontano già a 7.548 ettari. A pagare? Sempre gli stessi: i cittadini, attraverso le casse pubbliche. Perché la fauna selvatica è patrimonio dello Stato, ma la sua cattiva gestione è diventata un problema collettivo senza soluzione.
I numeri fanno rabbrividire: in tutto il Piemonte, nel 2023, sono andati persi 34.433 ettari di coltivazioni, mentre nel 2024 siamo già a 29.162 ettari. I danni più gravi si registrano nelle aree protette, dove le norme limitano gli abbattimenti, ma i cinghiali non hanno limiti né confini: pascolano, scavano, abbattono e distruggono, soprattutto nei parchi, nelle zone di divieto di caccia e nei territori più fragili come le valli Orco, Soana, Chiusella, Lanzo e Ceronda. E mentre i contadini chiedono risposte, arrivano solo dati e promesse.
Nel 2024, in provincia di Torino sono stati abbattuti 8.536 cinghiali. In tutto il Piemonte, 32.405. Ma l’obiettivo concordato con le associazioni agricole sarebbe stato ben più alto: almeno 50.000 abbattimenti, di cui 15.000 solo nel Torinese. E invece, i Parchi hanno abbattuto solo 2.529 esemplari. «Numeri inaccettabili – sbotta Bruno Mecca Cici, presidente di Coldiretti Torino – soprattutto se paragonati alle continue segnalazioni di danni che ci arrivano ogni giorno».
Cinghiale, quanto mi costi?
Il problema non è solo agricolo, ma politico, economico, ambientale. I risarcimenti non bastano. E non risolvono. Sono soldi pubblici che coprono solo una parte del danno reale, mentre gli agricoltori chiedono un cambio di passo, non elemosine. «Non vogliamo dipendere dai rimborsi – ribadisce Mecca Cici – vogliamo l’eliminazione del problema». Un problema che ogni anno toglie raccolti, danneggia attività, fa aumentare il prezzo dei prodotti locali e alimenta la spirale dell’insicurezza alimentare.
Nelle zone più colpite – Eporediese, Basso Canavese e aree montane – la percezione è di un’abbandono totale. Gli ATC (Ambiti Territoriali di Caccia) non rispondono, i Parchi nicchiano, i numeri non vengono comunicati per tempo: TO3, TO4 e TO5 risultano ancora mancanti all’appello. Intanto, il mais sparisce, i pascoli si svuotano e gli ungulati avanzano, protetti da una burocrazia lenta e da una politica assente.
Il paradosso è tutto qui: si spendono milioni per riparare danni che si potrebbero prevenire, ma si continua a lasciare che i cinghiali proliferino. E la PSA (Peste Suina Africana), minaccia reale e presente, rischia di trasformarsi in una bomba biologica. Perché contenere la fauna selvatica non è solo una questione agricola, è una questione sanitaria, economica e civile.
La misura è colma. E nel silenzio dei boschi, tra i solchi devastati e i campi abbandonati, il messaggio è chiaro: o si cambia rotta, o il Canavese e il Piemonte intero pagheranno ancora – in silenzio – il prezzo della passività.
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